All we are saying. L’ultima grande intervista a John Lennon e Yoko Ono
All we are saying. L’ultima grande intervista a John Lennon e Yoko Ono, una coppia indissolubile, esempio dell’amore perpetuo. La tipica storia d’amore che ti fa pensare ai versi di Shakespeare nel sonetto 116: “l’amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai”; e ti fa dire: è possibile.
All we are saying. L’ultima grande intervista a cura di David Sheff viene considerata il testamento di Lennon, le ultime parole del cantautore tra i più influenti del novecento. Si concluse poche settimane prima della morte di Lennon avvenuta l’8 dicembre 1980 a New York. Lennon aveva appena quarant’anni e oggi, in questo difficile 2020 appena concluso, lo scorso 8 dicembre sono passati quarant’anni dalla sua morte. In questa occasione l’intervista è stata pubblicata in un libro, edito in Italia da Einaudi per la collana Stile Libero Extra.
L’intervista si svolse durante le settimane in cui Lennon e Ono stavano registrando il loro ultimo album: Double Fantasy, l’album finale, quello che racchiude tutta l’essenza di John e Yoko, le loro vite, la famiglia che hanno costruito insieme con fatica, fra mille difficoltà e dovendo anche affrontare costantemente le critiche dei fan dei Beatles che non hanno mai perdonato a John di aver lasciato i Fab Four.
In questa intervista uscita all’epoca per la rivista Playboy a cura di David Sheff si vuota il sacco. Si parla di tutto. Dai Beatles al rapporto che John aveva con ciascuno di loro, dalle canzoni analizzate una alla volta alla musica insieme a Yoko, passando per il loro primo incontro che cambiò per sempre il destino di John e, conseguentemente, quello dei suoi fan.
Ma Yoko non è una spettatrice passiva di questo racconto, ha delle opinioni precise e quello che colpisce è la sua totale assenza di rancore nei confronti di chi l’ha criticata aspramente e le ha gettato addosso tanto odio.
“Quello che è successo è che ho conosciuto un tipo interessante e mi sono ritrovata addosso tanto odio”, queste le parole, qui parafrasate, di Yoko nell’intervista. Sono parole che ci fanno capire quanto peso abbiano avuto i Beatles nella storia, non solo come gruppo musicale ma quasi potremmo dire come religione. Era un credo, e tutti seguivano quella stella.
Va da sé che la vita con un peso simile diventa complicata e quella che per chiunque sarebbe una bella storia d’amore per altri è una tragedia.
Lo stesso Lennon esprime più volte il peso di essere stato un Beatles e il suo desiderio di essere semplicemente se stesso.
Quello che continua a ripetere per tutta l’intervista è che i Beatles sono stati un momento e che di momenti nella vita ce ne sono tanti e lui vuol vivere il presente e guardare al futuro, non vuole voltarsi indietro e rimpiangere ciò che è stato.
Vi sono anche molti temi ancora attuali nelle parole di John e in particolare di Yoko, soprattutto il suo femminismo e il ruolo della donna in quel periodo storico.
Occorre prepararsi alla lettura di questo libro perché fa male. Se avete amato i Beatles e se avete amato John e ancora fa male sapere come è andato via allora leggerete questa intervista commuovendovi per ogni sua parola.
Un esempio? John pensava al futuro, parlava al futuro. Immaginava tante cose belle, era ottimista e positivo e credeva davvero, lui come Yoko, che il peggio era passato e il mondo sarebbe migliorato. Si immaginava vecchio, padre adulto con il suo Sean ormai cresciuto e soprattutto continuava a vedersi accanto alla donna che amava.
Sapere che tutto questo sarebbe finito, che le parole che stiamo leggendo sarebbero state le ultime e la sua serena inconsapevolezza ci fa scappare inevitabilmente una lacrima.
Allo stesso tempo però possiamo dire che è proprio questo lo spirito di una leggenda. Le leggende sono immortali perché non pensano mai alla fine, parlano al futuro e sono perpetue. Come il faro nella notte di cui parlava Shakespeare.
Per questo Lennon è immortale e lo ricordiamo ancora vivo come se fosse qui con noi perché in effetti lui c’è. Guardava avanti, non rimpiangeva nulla, aveva imparato ad accettare i propri limiti e non voleva portare rancore nè odio, voleva solo stare con la sua famiglia, crescere Sean e continuare a creare, lasciando che i cambiamenti della vita lo attraversassero.
Al termine della lettura si capisce che la critica che muove ai suoi fan, se di critica si può parlare, è di volersi fossilizzare sugli anni sessanta e sull’evento Beatles come qualcosa che non deve mai cambiare come un limone che una volta spremuto dovesse essere spremuto ancora.
Va segnalato però che vi saranno momenti nella lettura in cui ci si potrà anche adirare e sorprendentemente non con Yoko, ma proprio con John e per certe sue affermazioni. Sheff talvolta lo mette in scacco e gli fa notare alcune contraddizioni nelle sue parole ma lui in modo molto serafico riesce a spiegare ogni cosa.
C’è un passaggio relativo ai Beatles in cui lui afferma che i Beatles non sono né amici per la pelle né nemici giurati e che non sta lì a pensare da quanto non li vede e se li rivedrà perché il messaggio dei Beatles è qui e ora.
Ecco questo punto potrebbe effettivamente far storcere il naso a tutti i fan che hanno sempre pensato ai Fab Four come una monade inscalfibile.
Non è così. Per John erano un gruppo di ragazza che ha fatto qualcosa di importante negli anni sessanta, diventando più famosi di Gesù, e che poi hanno preso ciascuno la propria strada.
C’è una canzone di Double Fantasy che riassume la speranza per un futuro migliore e in un certo senso il concept dell’album stesso: Hard times are over, i tempi difficili sono finiti.
A pensare a quante cose sono accadute dopo quel 1980, l’alba degli anni più colorati e leggeri del novecento, si prova un po’ di malinconia. Le Twin Towers erano ancora in piedi, non si parlava di terrorismo, catastrofi climatiche e conflitti internazionali ma soprattutto eravamo quarant’anni lontani dalla pandemia che ci ha bloccati tutti. I cellulari e i computer non avevano ancora assorbito le nostre esistenze e viene da chiedersi cosa avrebbe detto John di tutto questo?
Probabilmente il suo sarebbe stato un messaggio di speranza per il futuro e forse avrebbe scritto un’altra Imagine. Il suo sguardo al futuro era pieno di curiosità e la sua domanda era: Chi può dirlo cosa succederà?