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Cigare au miel, la recensione del film di di Kamir Aïnouz

Cigare au miel ha aperto Le giornate degli autori alla Mostra del Cinema di Venezia 2020 e in questi giorni rientra nella rassegna Venezia a Napoli – il cinema esteso, giunta alla sua decima edizione, diretta da Antonella Di Nocera che porta a Napoli una selezione di opere e anteprime dalla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia dal 15 al 20 dicembre online su MYmovies.

Opera prima di Kamir Aïnouz, Cigare au miel è la storia di Selma, 17 anni di origine algerina. È il 1993 e in Algeria infuria il conflitto civile. La ragazza vive a Parigi con la madre e il padre ed è appena arrivata in una nuova e prestigiosa scuola, fin da subito entra in contatto con la vita adolescenziale e le sue prime esperienze, Selma ha brama di conoscenza di tutte le esperienze che di solito si desiderano a quell’età. I suoi 17 anni sembrano un anno di fuoco fatto di desideri e scoperte da soddisfare e Selma, nonostante la rigidità patriarcale delle sue origini, vuole mordere la vita come si farebbe con un frutto maturo. Il suo è dunque un percorso di formazione, un’educazione sentimentale e sessuale che per alcuni aspetti ricorda Giovane e bella di Francois Ozon.

Nella nuova scuola la ragazza incontra Julian, che sarà il suo primo amore, un amore che si consuma subito bruciando come un cerino acceso. Pur così veloce e frenetico, questo innamoramento rivela a Selma la sua sessualità e di conseguenza la presa di coscienza della realtà patriarcale in cui vive; tanto che ogni atto sessuale di Selma, condiviso o solitario potrebbe essere visto come un atto di ribellione, quasi politico. Selma si trova esattamente a metà fra i due mondi, quello occidentale, in apparenza libero eppure maschilista e quello arabo dichiaratamente patriarcale. La ragazza sembra non appartenere davvero a nessuno dei due mondi e come tutte le adolescenti è in cerca di un’identità e di certezze.

Kamir Aïnouz, sorella di Karim Aïnouz di La vita invisibile di Eurídice Gusmão, scrive e dirige la sua opera prima, Cigare au miel, riferendosi al dolce algerino, di pasta fritta, ricco di miele. Proprio questo sigaro al miele rappresenta il simbolo della scoperta del corpo e della dolcezza sessuale raccontando allo stesso tempo un incontro/scontro generazionale.
La regista si sofferma sul corpo di Selma, sottolineandone le forme acerbe ma in sviluppo. Questa figura non più bambina non ancora donna si potrebbe assimilare a La Pubertà di Edvard Munch, in cui si vede la figura di una ragazzina difficilmente definibile sessualmente poiché la sua stessa identità non è ancora uscita. Il suo gesto di coprirsi i genitali raccontano timidezza e incertezza ma allo stesso tempo lo sguardo diretto ne conferisce una certa fierezza. È proprio questa l’aura di Selma nel film, in costante oscillazione tra pudore e sicurezza, vuole affermarsi ma vive tante paure.

È inevitabile per lo spettatore sentirsi vicino alla ragazza e chiedersi come si concluderà il percorso di formazione della protagonista. L’Algeria, il contatto con la terra madre e la riscoperta della stessa figura materna come donna indipendente e coraggiosa saranno il punto di svolta nella storia.

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