La casa dalle finestre sempre accese, recensione del libro di Anna Folli
Anna Folli torna in libreria per Neri Pozza con una nuova e appassionante biografia: La casa dalle finestre sempre accese racconto della vita del critico letterario Giacomo Debenedetti, di sua moglie Renata e di tutti gli illustri personaggi del mondo letterario e non, che hanno affollato e arricchito la storia del Novecento.
Come sempre le biografie della Folli non sono semplici biografie ma veri e propri romanzi, sono storie che ci avvolgono e ci appassionano facendoci vivere in prima persona, come in un viaggio nel tempo, un pezzo della nostra storia.
La storia di Giacomo e Renata sembra fatta apposta per essere narrata nei libri di storia o nei romanzi avventurosi d’appendice perché coinvolge eventi significativi del primo Novecento italiano. È inevitabile dunque raccontare il percorso di questa coppia e la loro storia d’amore senza parlare anche delle persone la cui strada si è incrociata con quella del brillante critico letterario.
Basti pensare a nomi come Umberto Saba (grande amico di Debenedetti), Eugenio Montale o la coppia MoranteMoravia (su cui la stessa Anna Folli ha scritto una struggente e profonda biografia che titola proprio MoranteMoravia, perché Elsa e Alberto erano una cosa sola).
La storia di Giacomo e Renata, inizia a Torino, tra corso San Maurizio e il Lungo Po Cadorna dove c’è un edificio color sabbia con le finestre che guardano il fiume e la collina: in questo palazzo sobrio, in un appartamento al secondo piano, vivono, «con il passo dell’illusione e con la generosità della speranza», Giacomo e Renata Debenedetti.
Si sono incontrati una sera d’inverno del 1919, al Teatro Regio di Torino. Renata Orengo ha solo dodici anni quando il suo sguardo incrocia quello di Giacomo Debenedetti, di cui si innamora sin dal primo istante. Lei è una ragazza di buona famiglia, lui uno studente del politecnico dalla vivace intelligenza, le cui intime amicizie comprendono personaggi come Piero Gobetti, Mario Soldati, Umberto Saba e Eugenio Montale.
Intellettuale ebreo perso nei suoi sogni, fondatore della rivista Primo Tempo, che in pochi mesi annovera tra i suoi collaboratori i futuri grandi nomi della letteratura italiana, per molto tempo Giacomo non si vede nei panni del critico letterario: vuole diventare uno scrittore, ma sarà solo dopo aver letto La Recherche di Proust che andrà incontro al suo destino.
Il matrimonio con Renata si tiene il 4 dicembre 1930, in casa dei marchesi Orengo. Da quel giorno, nell’appartamento affacciato sul Lungo Po, nasce un mondo nuovo, popolato da artisti e da scrittori, da giovani intellettuali e grandi poeti. Prima a Torino e poi a Roma, in casa Debenedetti non è difficile incontrare Alberto Moravia, Elsa Morante, Alberto Savinio, Bobi Bazlen, Sibilla Aleramo, Maria Bellonci, Aldo Palazzeschi…
Ma l’ombra più nera del secolo sta per avvicinarsi ai nostri protagonisti e dopo un inizio felice all’insegna dell’arte e della letteratura, la vita del più grande critico italiano del Novecento e della sua bella moglie, è destinata a un repentino mutamento. In breve tempo la loro esistenza viene sconvolta dalle leggi razziali, conoscono la desolazione della guerra, la fuga a Cortona, l’entusiasmo della ricostruzione, le disillusioni di una carriera professionale disseminata di grandi riconoscimenti e atroci delusioni.
Pensando a questa biografia risulta inevitabile fare un paragone con il film C’eravamo tanto amati del 1974 di Ettore Scola, in cui le storie di un gruppo di amici vanno a intrecciarsi con la guerra diventando anche per questo più epiche.
Il fatto è che l’Italia ha sempre avuto nel suo bagaglio culturale tante storie da raccontare e molte di queste che hanno visto la guerra e la persecuzione razziale da vicino, hanno dato un volto e un anima ai tanti numeri o titoli di poesie e opere letterarie che abbiamo letto nei libri di scuola.
Perché questo, che definirei romanzo a protagonismo gruppale, è il percorso di vita di un gruppo di autori e figure di spicco di cui possiamo cogliere l’umanità grazie al lavoro dell’autrice.
Nel corso della lettura, esattamente come avviene in MoranteMoravia, possiamo sentire la spensieratezza degli anni venti, il grigiore dei trenta con l’arrivo del regime fascista e l’inquietante suono dei bombardamenti, seguito dal sordo silenzio dei caduti in battaglia e delle migliaia di ebrei massacrati dalle leggi razziali. Sentiamo la paura crescere sempre più e tiriamo un sospiro di sollievo insieme ai protagonisti della storia e con loro ci preoccupiamo per il futuro del Paese negli anni della ricostruzione.
Questo è un racconto fatto di corpo e anima, lacrime e sangue e ci scorre nelle vene, proprio come quella di Montale, Saba, Morante e Moravia, Sartre e De Beauvoir perché, anche se alcuni di noi non erano lì, oggi siamo accompagnati dal nostro passato, dalla cultura che ci ha fatto come siamo, dalla memoria che indelebile scandisce il tempo e dalle radici che ci permettono di tenerci ben saldi al suolo.
Allo stesso tempo è il racconto di un percorso professionale, quello di Debenedetti come critico e scrittore, fatto di speranze, sogni, voglia di fare ma anche di insicurezze e umana autodistruzione, le tipiche onde emozionali che riguardano tutti coloro che hanno un sogno ma soprattutto chi ama scrivere, destinato spesso a stati depressivi causati dalla convinzione di non fare mai abbastanza né di essere arrivato alle masse con la propria parola. Si nota infatti che praticamente ruota tutto intorno alla professione di Giacomo e alla sua costante ricerca di conferme che, paradossalmente, lo rende incostante. E’ quindi tutto umano il personaggio e tutta umana è la moglie che inizialmente sembra vivere alla sua ombra, in funzione della carriera del marito ma rivelando poi la propria personalità e indipendenza.
In quest’opera c’è in gioco la storia di un Paese e un’intera generazione, “di quella generazione di scrittori, poeti, artisti e intellettuali investiti da una vocazione che coincideva con la loro esistenza”, dice la Folli, di cui “si stava perdendo persino il ricordo”.
E a cosa servono le biografie, se non a ricordare le persone dietro le opere d’arte?