I dieci comandamenti del coronavirus: non è un profeta, è un virus
I dieci comandamenti del coronavirus: il coronavirus non è un profeta di saggezza, è un solamente un virus con un alto grado di infettività che è stato capace di mutare e di completare uno spillover, un salto di specie, trasferendosi da un animale all’uomo. Vedervi qualcosa di più fatalista e determinista è un errore in termini, una fallacia emotiva che come specie non abbiamo il tempo di concederci, soprattutto perché ci indurrebbe a pensare al coronavirus in maniera positiva, dimenticando che per molte persone nel mondo è una sentenza di morte. Un milione, ad oggi.
L’approccio, però, non deve essere nemmeno disfattista, piuttosto dobbiamo adottare uno sguardo critico e razionale, capace di osservare le cause e gli effetti che questa pandemia ha snudato così brutalmente. Il Covid-19 ha messo in luce gli abissi della nostra società, ne ha esposto le nefandezze con una crudezza spregiudicata, al punto che non è più possibile nasconderle. Purtroppo, però, si può ancora scegliere di non vederle e trascorrere il tempo a disquisire di piante e lezioni di pilates mancante, mannaggia al Covid.
La prima grande lezione, il primo comandamento che dovremmo incidere sulla stele della nuova umanità, riguarda proprio le diseguaglianze: il virus colpisce, punto, che la persona sia ricca o povera, famosa o ignota, intelligente o meno. Ciò che cambia, però, non è l’attacco del virus, ma la risposta umana a detto attacco. Prendendo ad esempio gli Stati Uniti, possiamo farci un’idea di come le diseguaglianze non appartengano solo ai paesi che siamo abituati a considerare come meno sviluppati. Negli Stati Uniti d’America la sanità non è gratuita, ma è privatizzata, questo vuol dire che chi è abbastanza ricco da poter pagare un’assicurazione sanitaria, a seconda della polizza stipulata, può accedere a diversi livelli di assistenza, cure per il coronavirus comprese. Il problema, dunque, è che i poveri, non necessariamente solo i più poveri, sono abbandonati al decorso della malattia, qualunque esso sia. Questo problema, in un paese in cui le esclusioni fanno parte del modus vivendi, fa sì che il virus si diffonda nei gruppi più marginalizzati nei quali mancano controllo, prevenzione, cura e informazione. I disagi fisici del coronavirus, si intersecano con problemi legati alla classe sociale e dunque alla precarietà della situazione degli individui. Il reddito si interseca al luogo che si lega alla razza e al sesso, sommandosi poi alla salute, allo status giuridico e così via nell’infinita spirale della discriminazione. Quello che possiamo imparare è che un sistema senza rete sociale non è un buon modello per realizzare i sogni di tutti, ma un meccanismo crudele che sfrutta i molti per soddisfare le ambizioni dei pochi. Gli stessi che possono permettersi, in questo momento, di scegliere quale delivery sia più appropriata alla serata, se scendere in strada armati a difendere il diritto al possesso di armi da fuoco o quale tra i discorsi preparati dall’ufficio stampa sia più adatto a conquistare i grandi elettori di stati conservatori che investono nel petrolio.
La seconda grande lezione che possiamo appuntare, riguarda la gestione di questi sistemi sociali che passa attraverso due grandi istituzioni: le tasse e il senso civico. Le tasse sono sinonimo di furto alle orecchie di molti, di una frode legale costruita da uno stato ricco e furfante che si approfitta degli onesti lavoratori. La realtà, però, è ben diversa, le tasse sono una delle più alte conquiste della civiltà, permettono di costruire una ricchezza comune composta di servizi e sostegno fruibili da tutte le persone che lo stato ammette come cittadini. Le tasse, a voler essere romantici, sono una forma concreta di altruismo. La loro gestione, invece, è un altro discorso. Subentra prima il senso civico, ovvero quell’insieme di comportamenti tenuti nel rispetto degli altri e del collettivo in cui l’individuo svolge la propria esistenza. Il senso civico è ciò che spinge le persone a non gettare la spazzatura in strada, a pagare le tasse, a non vendere il proprio voto alle elezioni, parcheggiare su un posto per disabili senza averne diritto e indossare la mascherina. Ed ecco quindi il problema atavico di questa società che tanto frettolosamente vogliamo ritorni esattamente com’era: è una società egoista, dove chi prima arriva meglio alloggia e “mors tua vita mea”. Queste gravi mancanze sociali diventano drammatiche in tempo di pandemia, soprattutto perché oltre a non frenare la diffusione del virus, si veda #estate2020 e come si comportavano i martiri del lockdown, impediscono alle istituzioni di agire per arginarlo. La cattiva gestione di pochi fondi statali fa il resto. C’è un errore di sistema, che parte dal basso e si reitera dall’alto.
Il terzo grande insegnamento riguarda il modo in cui la società si approccia alla conoscenza, oggi siamo in balia della società dell’opinione, in cui tutti possono pretendere che un’opinione basata su istinto e meme sia valida tanto quanto, se non persino di più, di quella condivisa dalla comunità scientifica. Se è vero che la scienza procede per errori, è altrettanto vero che il percorso compiuto è verificabile ed eventualmente confutabile. Le opinioni, invece, non hanno bisogno di rispettare alcun grado di scientificità e sono in balia della voce che le trasporta. Più forte è la voce, più viene ascoltata. Tant’è che i dibattiti politici o i confronti tra opposizione in televisione sono una cacofonia di slogan, creata non per casualità, ma per rimanere impressa e cavalcare l’emotivo bisogno che tutti, meschinamente, nutriamo, ovvero il sentirci abbastanza qualificati per dire qualcosa con ragione. Questo fattore spinge la politica ad abbassare il livello, non servono leader preparati, ma leader con opinioni capaci di saltare tra le piattaforme mediatiche come influencer e di urlare in parlamento come ultras, alzando le mani e sussurrando di essere “uomini del popolo”.
Questo ci porta alla quarta lezione, la distrazione privilegiata, siamo talmente imbibiti di lussi e privilegi da non sentirli e, purtroppo, da voler tacitare chiunque dica il contrario. Impazza la critica ai movimenti sociali che, come una unica colpa sembrano avere quella di rivendicare giustizia per i gruppi che rappresentano, un esempio calzante riguarda il movimento Black Lives Matter, tacciato di essere a sua volta “razzista” perché non reca il termine “All” al posto di “Black”. La società dell’opinione stravolge i significati, tant’è che esiste varamene chi crede possa esistere un razzismo al contrario, il razzismo è una forma di discriminazione basata sulla convinzione che una razza sia migliore ed è indissolubilmente legata ad uno stato di oppressione e marginalizzazione. Che i bianchi lamentino razzismo è un po’ come dire che un pesce senta dolore ad una mano, illogico e privo di fondamento. La società dell’opinione e il privilegio vanno talmente tanto d’accordo che sono persino capaci di negare l’esistenza del coronavirus, riescono ad affermare la veridicità delle scie chimiche e spiegano che nei vaccini sono nascosti chip per il controllo della mente. Che poi queste medesime persone siano le prime a compilare i test di Facebook sulle preferenze politiche solo per sfoggiare un badge recente la scritta “marcatamente a destra” sulla bacheca, non importa, è dal chip del vaccino anti-polio che si prendono le informazioni, lo sanno perché l’hanno letto su Facebook.
La quinta lezione riguarda la nostra sfera di interesse, ridotta ad un nonnulla poiché di fatto è limitata a noi stessi. Le nostre ferie, le nostre cene in famiglia, i nostri aperitivi con gli amici, i nostri pomeriggi di shopping, le nostre tradizioni, la nostra religione, il nostro cibo, la nostra auto e via così. Ciò che conta è l’individuo e ciò che ha la fortuna di orbitare nei suoi pressi, tutto il resto rimane come corpo estraneo, lo si percepisce solo se si avvicina, ma basta infine cambiare traiettoria per ripristinare l’rodine di ciò che conta. Se i movimenti sociali richiedono all’individuo di limitarsi, lui si orienterà verso un orizzonte in cui quelle rivendicazioni non sono accolte con buona pace dei diritti civili e umani.
Il sesto insegnamento ci ricorda che molti umani lo sono meno di altri, particolarmente in tempo di crisi le donne sono le prime a vedere i propri diritti contrarsi. Durante la prima crisi di chiusura della pandemia il carico di lavoro che gravava sulle donne lavoratrici è raddoppiato, poiché oltre al lavoro e alla già statisticamente iniqua divisione del lavoro domestico si sono dovute sobbarcare il tempo extra da dedicare ad istruzione, gioco e attenzione dei figli. L’impostazione conservatrice del nostro paese impone un peso maggiore sulle spalle delle donne che se non perderanno il lavoro, dovranno spesso rinunciarvi per far fronte alle difficoltà da lockdown. In termini di violenza, il regime di omertà si è allargato, tacitando ancora di più il dramma della violenza domestica, aumentata in tempi di chiusura, ma dimenticata. Non è un caso che la legge sul divieto di aborto in Polonia sia passata recentemente, la storia ci ha già insegnato più volte che è in tempi di precarietà che la politica diventa regime e i diritti vengono distrutti. Rimane da vedere se abbiamo prestato attenzione durante le lezioni di storia contemporanea.
La settima lezione è ancora più inquietante, perché riguarda il modo in cui la nostra sfera d’attenzione e interesse si interseca con il tempo. Se dovessimo darne una rappresentazione grafica, potremmo disegnarla come un punto, il qui ed ora, che abbiamo rubato e riadattato malamente dall’oriente, è esattamente il tempo del nostro vivere. L’individuo non ragiona in prospettiva e ricerca disperatamente la percezione del suo presente perché non gli sfugga e in termini di meditazione non è così malaccio. Il problema, come sempre, è la sistematicità del pensiero dominante. Pensiamo al nostro momentum con un’ansia quasi isterica perché siamo umanamente terrorizzati dal domani ignoto, un domani di cui non ci vogliamo curare, ed è qui che nasce il dramma. Il domani, più vicino di quando pensiamo, è attualmente a rischio di estinzione, abbiamo innescato la sesta estinzione di massa e sebbene questo sia un fatto noto alla scienza dagli anni ’70 siamo ancora una società consumistica, dipendente dai combustibili fossili, che ingurgita tutto ciò che desidera in preda ad una bulimia economica spaventosa. Il nostro futuro sarà complesso, ma il presente di molti è già un inferno e il Covid ce lo sta mostrando apertamente.
L’ottavo insegnamento riguarda il nostro legame con il capitalismo, prendiamo ad esempio il petrolio: dallo scoppio della crisi del Coronavirus la domanda di petrolio è crollata miseramente. Siamo dipendenti dai combustibili fossili per scelta, di mercato, ma non per necessità, ormai abbiamo sufficienti tecnologie sostitutive per ridurne l’uso fino a poterne fare a meno, ma la verità è che i gruppi di interesse, le lobby e i grandi paesi esportatori legati a questo genere di prodotto non hanno intenzione di lasciarci molte opzioni. La differenza è che ora possiamo vedere chiaramente il bivio di fronte cui ci troviamo, ma dovremo saper scegliere bene. Se la prima reazione post seconda ondata sarà comprare una moto nuova, allora non avremo capito nulla e ciò che lasceremo a quelle future generazioni saranno pozzi di petrolio in disuso e rotte di migrazione verso quei pochi paesi non preda di incendi e deserti, in cui ancora si trova acqua da bere e riparo dal sole.
Il nono insegnamento accidentale del Coronavirus riguarda la straordinaria assenza di impegno e responsabilità, cerchiamo un untore, un bugiardo e un eroe, non vogliamo la verità dello spillover nei mercati di carne, vogliamo un ordine segreto e crudele. Non vogliamo valutare il nostro operato con lucido spirito critico, ma sostenere un’opinione contro uno scienziato, non vogliamo sapere che il nostro cheeseburger sia stato realizzato producendo tra i 3 e i 6 kg di CO2 equivalente, non ci piace che ci si dica che non possiamo più fare una cosa o che ci venga detto di indossare un indumento capace di proteggere degli estranei da noi stessi, non ci piace considerarci un problema, o peggio, responsabili, siamo bambini, bambini viziati ed estremamente abili nell’ottenere ciò che vogliono.
Il decimo, e ultimo insegnamento, è che la verità è il bene più prezioso che abbiamo, talmente bistrattata e allontanata dalla ribalta, la verità è il minerale più puro e raro che ci sia, è una fonte di ricchezza infinta e potente, capace di sovvertire qualsiasi mercato e qualunque tasso di interesse. La verità è che le cose andavano male anche prima del Coronavirus. Abbiamo bisogno dell’ecosistema che stiamo distruggendo per vivere, abbiamo bisogno l’uno dell’altro per darci sostegno, che tutti paghino le tasse per pagarne meno e avere più fondi da stanziare alla sanità in tempi di emergenza, abbiamo bisogno di lasciare perdere le nostre velleità e la banalità dell’opinione e di riscoprire l’umiltà di saper riconoscere il valore della scienza come sapere umano e condiviso, l’unica cosa che ci ha fatto, fa e farà progredire come specie. Abbiamo bisogno di solidarietà e di un’intelligenza emotiva capace di farci mettere da parte i nostri privilegi per rendere vivibile la vita altrui. Abbiamo bisogno di capire la verità. La verità è che siamo responsabili, siamo umani e siamo capaci di errori.
Come la scienza, anche l’umanità procede ed evolve per errori. Non ne abbiamo già fatti abbastanza?