Serie TV

La regina degli scacchi. Un romanzo di formazione a colpi di scacchiera

La nuova serie “La regina degli scacchi” è un romanzo di formazione a colpi di scacchiera, una miniserie creata da Scott Frank, sceneggiatore di GodlessLogan Out of Sight e Allan Scott.

Pronti per una nuova stagione, per dirla in termini seriali, di visione dei contenuti multimediali dalla poltrona di casa con tazza di tè e plaid, Netflix si è dimostrato ancora una volta pronto a sopperire alle settimane di restrizioni che ci aspettano, sfornando in queste settimane nuovi contenuti. Fra questi, uno particolare ha destato la mia attenzione, The Queen’s bambit, ossia La regina degli scacchi, il prodotto è tratto dall’omonimo romanzo del 1983 di Walter Tevis, incentrato sulla vita di una giovane prodigio degli scacchi, dall’infanzia in orfanotrofio fino ai suoi primi vent’anni.

Fra gli interpreti: oltre la protagonista, Anya- Taylor Joy che interpreta appunto Elizabeth Harmon; Bill Camp, mr. Shybell, il custode dell’orfanotrofio che insegna alla giovane Beth appena novenne a giocare a scacchi; Marielle Heller ossia Mrs. Alma Wheatley la madre adottiva di Beth; Harry Melling nel ruolo di Harry Beltik e Thomas Brodie- Sangster nel ruolo di Benny Watts ma che molti ricordiamo come il piccolo Sam, orfano di madre innamorato della compagna di scuola Joanna, con un Liam Neeson che lo aiutava nella conquista in Love Actually.

Questo il cast principale dove ciascuno degli interpreti, pur avendo poche pose rispetto alla protagonista su cui si accentra tutta la storia, sa lasciare il segno contribuendo alla ricchezza dell’opera. Ciascun personaggio risulta infatti avere uno spessore e una personalità per cui ti importa davvero la sua vita e quasi ti interessa, dopo aver visto compiersi il destino di Beth, sapere che ne sarà di tutti loro.

Ammetto di essermi approcciata alla visione della serie con qualche remora. Inizialmente ho avuto la percezione che la narrazione fosse un po’ lenta e che vi fossero alcuni errori di scrittura dove certe linee narrative o alcuni personaggi venivano abbandonati dopo un certo tempo. Invece tutti i fili tirati all’inizio raggiungono l’obiettivo, per esempio i principali personaggi di cui si narra nella gioventù della protagonista, ritornano al momento opportuno e tutto ciò che si racconta per frammenti lungo il percorso viene spiegato; in un processo che è il classico romanzo di formazione, in questo caso in versione video.

Venendo poi agli altri protagonisti della storia, gli scacchi, ho sempre avuto una simpatia per questo gioco, giudicandolo molto complesso e ho automaticamente associato ad esso la genialità e una buona memoria. Non è un gioco semplice e in questa storie viene mostrato in tutto il suo rigore e nella sua complessità. Viene persino voglia di fare una partita alla fine della visione ma ci si rende anche conto che giocare ai livelli che si vedono in questa serie vuol dire, praticamente pensare solo agli scacchi.

In effetti a ben pensarci tutti i geni della storia o gli sportivi o gli artisti che hanno lasciato un segno sono spesso quelli che vivevano solo della loro ossessione e talvolta erano individui nel senso più puro del termine, tutti soli.
Questo è un po’ anche il destino di Beth, incapace di controllare l’esistenza ma forte e sicura nella gestione degli scacchi, dove la responsabilità è solo sua.
Parafrasando ciò che lei stessa a un certo punto dichiara: “Negli scacchi ho tutto sotto controllo, dipende da me, se mi faccio male so che è per una mia colpa, per una mia responsabilità”. Il senso di rigore e controllo della cosa sono senz’altro adrenalinici.

Si aggiunge al pacchetto l’ambientazione anni ’60 che personalmente è la ciliegina sulla torta di un prodotto gradevole.
Dovendo individuare una pecca, si nota poco spazio concesso al relazionale, è la serie stessa ad essere “autistica”, potremmo dire, fredda e distaccata come la sua protagonista. Le relazioni familiari e d’amore sono sì narrate ma finiscono nel tempo di una puntata, spesso sono solo accennate e poi riprese più avanti. Non vi è davvero un approfondimento in tal senso.
Solo verso il finale vi è un picco emozionale che in effetti risulta anche spiazzante.

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