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I Leoni di Sicilia, vogliamo il sequel! Quando esce?

Per tutti quelli che hanno amato a cuore aperto il romanzo “I Leoni di Sicilia”, seguendo le vicissitudini, sia imprenditoriali che sentimentali, della famiglia Florio, a oggi c’è solo una domanda che si pone, ovvero, ma quando esce il sequel?

Ebbene sì perché la nostra, ormai, beniamina Stefania Auci, autrice di questo capolavoro della letteratura moderna adesso ce lo deve, non ci può lasciare con quell’amaro in bocca, tipico del chinino, adesso noi dobbiamo sapere che fine hanno fatto i nostri protagonisti. Certo vero è che se volessimo sapere a parole spicce cos’è accaduto in seguito ai Florio basterebbe aprire qualche pagina di wikipedia a loro dedicata, ma non è questo che vogliamo, uno spoiler secco e malnutrito di quello che ne è stato di una delle famiglie più importanti dell’imprenditoria italiana, non ci basta più, adesso noi vogliamo la poesia, il sentimento, l’emozione. Carissima Stefania, ci hai abituato bene e noi ne vogliamo sempre di più, quindi quando esce il sequel de “I Leoni di Sicilia”?
Ahi noi, fonti certe ci chiedono di avere ancora un po’ di pazienza perché l’uscita è sì prevista con certezza, ma non prima del 2021, data da definirsi, ma vi prometto che vi terrò aggiornati.
Allora, con questa speranza nel cuore, che ci presenta un 2021 alle porte, ripercorriamo il primo capitolo della saga della famiglia Florio per arrivare preparatissimi al lieto evento.
I Leoni di Sicilia, edito da Nord, ricostruisce l’esodo dei Florio da Bagnara Calabra dopo il terremoto del 1783 per approdare in Sicilia, precisamente a Palermo e ancora più precisamente in via dei Materassai, dove i fratelli Ignazio e Paolo aprono la loro bottega di speziali. Si apre così l’epopea economica della prima generazione dei Florio in Sicilia, tra difficoltà sia commerciali, dove la competizione non lascia spazio ai nuovi arrivati, sia di integrazione, a questi rilevanti fattori si inserisce sinergicamente quella sentimentale, raccontando come una famiglia di umili origini riesca ad arrivare a toccare le corde più sensibili della società di inizio Ottocento, quando la nobiltà ancora non accetta, e a tratti schifa, chi non è di sangue blu, seppur più potenti economicamente di loro, ed è proprio in questi passaggi che si racconta la storia, dove le vicende personali della famiglia, concentrate principalmente sul primogenito Vincenzo, rimescolano e raccontano proprio il capovolgimento storico e sociale di quell’epoca.

Così i Florio ci raccontano una Sicilia magnifica, la terra promessa dove tutto è possibile, la ritroviamo non solo nei luoghi descritti minuziosamente ma anche nelle parole, con dialoghi estremamente curati e deliziosi dove risuona nella nostra mente la musicalità di questa lingua antica e attualissima e dove impariamo una grande lezione: con tenacia e volontà, dove la lungimiranza e un indomito spirito d’iniziativa si dimostrano più potenti di un titolo nobiliare, si può creare da zero una solida eredità. Così si passa dal chinino, al marsala, dallo zolfo ai pizzi, dalle piccole e modeste botteghe alle grandi e imponenti tonnare che diventeranno un marchio indelebile nella storia del nostro paese.

Stefania Auci c’ha messo amore nelle sue parole, un po’ di romanzo, ma anche tanta storia, ogni capitolo, infatti, inizia con la breve sintesi degli avvenimenti storici degli anni di cui tratta, che aiutano a collocare le vicende dei Florio nel loro contesto storico e sociale, dalla fuga dei Borbone in Sicilia sotto Napoleone, alla nascita dello Stato Unitario, così da rimanere sempre dentro al tempo e alla storia. Inoltre è innegabile che, nonostante il libro si presenti come un malloppone di oltre 436 pagine, sia scorrevole come l’olio di una scatoletta di tonno, con un linguaggio vivace e mai noioso dove anche le più minuziose descrizioni dei luoghi o dei personaggi non appesantiscono il racconto, anzi ne rafforzano l’idea eliminando la linea sottile che spesso si frappone tra libro e lettore, ne I Leoni di Sicilia si viene letteralmente catapultati tra le pagine e perché no, se non si è siciliani diventa anche un piacevole esercizio di stile cimentarsi nel dialetto.

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