Gli atti vandalici devono essere puniti come deve essere punito e non premiato chi compra, schiavizza e stupra una bambina di 12 anni. La statua dedicata al giornalista Indro Montanelli, situata vicino all’ingresso dei giardini pubblici di Porta Venezia di Milano, è stata nuovamente imbrattata di vernice, sul basamento sono state scritte le parole “razzista, stupratore” e nelle ultime ore c’è stata la rivendicazione del gesto da parte del gruppo Rete Studenti Milano e da LuMe (Laboratorio universitario Metropolitano). Un gesto che aleggiava nell’aria da giorni, anche perché negli anni, da quando è stata inaugurata la statua e intitolato il parco a Montanelli, le polemiche non sono realmente mai cessate, infatti già l’8 marzo del 2019 il collettivo di attiviste femministe Non Una di Meno avevano rovesciato sulla statua della vernice lavabile rosa, un gesto simbolico più che vandalico, visto che la vernice si è potuta togliere con un getto d’acqua, ma il messaggio era chiaro, quella statua lì non ci deve stare perché lede la dignità di ogni donna.
Negli ultimi giorni, con le proteste anti-razziste che si stanno scatenando in giro per il mondo per la morte di Georg Floyd, uomo afroamericano ucciso dalla polizia a Minneapolis durante un arresto violento, hanno portato a un dibattito che riguarda le molteplici sfaccettature ed espressioni del razzismo delle società contemporanee, compreso il rapporto con il passato coloniale che accomuna gran parte dei paesi occidentali. A Milano si è riaccesa così la polemica legata alla statua di Montanelli dopo che un gruppo di attivisti ne aveva chiesto la rimozione, scrivendo al sindaco di Milano Beppe Sala e al Consiglio comunale.
Le ragioni della richiesta sono legate alla questione che riguarda il giornalista in prima persona quando, soldato in Etiopia negli anni Trenta, comprò una ragazzina eritrea di 12 anni, per «stabilire con lei un rapporto sessuale» citando le parole che usò Montanelli nel 2000.
In diverse occasioni Montanelli, considerato da molti uno dei più importanti giornalisti italiani del Novecento, ha raccontato gli episodi avvenuti con la ragazzina non mostrandosi minimamente né pentito né tanto meno imbarazzato della situazione. La prima volta che face queste dichiarazioni fu durante un’intervista nel programma televisivo di Gianni Bisiach “L’ora della verità” nel 1969, in quell’occasione la giornalista femminista Elvira Banotti (eritrea per parte di madre), prese la parola per porre a Montanelli alcune domande che non lasciavano dubbi sul dover riflettere sulla moralità del gesto da lui compiuto a metà degli anni Trenta, quando aveva 26-27 anni, il giornalista rispose con serenità senza poi fare mai ammenda per il suo comportamento filo-schiavista.
Fino alla sua Morte Montanelli non si è mai scusato per quegli atti, anzi, nel suo intervento appare vagamente divertito nel ricordare il “docile animalino” che aveva acquistato direttamente dal padre: “Ma non mi prendere per un bruto, a 12 anni quelle lì sono già donne”, spiega nel filmato il giornalista. Le giustificazioni attribuite a questo atto sono sempre state che in Africa orientale e in Libia erano piuttosto diffuse le relazioni sessuali e di convivenza temporanee con donne africane, che venivano chiamate «madame», come se la moralità personale di trovarsi a confronto sessuale con una bambina non facesse sorgere già di per sé in un uomo nessun tipo di perplessità o di orrore. Perché il punto non è se fosse o meno legale, nella storia ci sono state, e ci sono ancora, tantissime atrocità considerate legali, il punto è: come si può considerare un uomo di quasi 30anni che non si fa nessuna remora a violentare e soprattutto a violentare una bambina di 12 anni? Che nome gli vogliamo dare? Ci sono molte parole per definire queste aggressioni e sono tutte punite dalla legge (ancora troppo debole), inoltre proprio negli anni in cui il giornalista Montanelli compiva queste atrocità in un altro paese, in Italia i rapporti sessuali con minorenni erano già considerati reati dal 1930 (la legge italiana considerava stupro quelli con i minori di 14 anni).
Negli anni successivi Montanelli raccontò in diverse occasioni di questo fatto, ad esempio nell’intervista con Enzo Biagi del 1982, cambiando versione sull’età della bambina (da 12 a 14 anni) e sul suo nome. Lo fece per l’ultima volta in La stanza di Montanelli, la sua rubrica sul Corriere della Sera, il 12 febbraio 2000. In quel caso raccontò anche che la ragazzina era vergine ed era infibulata, e che per questo fu necessario un «brutale intervento della madre». Definisce inoltre il contratto di “matrimonio” che stipulò con il padre della ragazzina un «una specie di leasing».
Con tutte queste precise e dettagliate informazioni, che fu proprio il Dottor Montanelli a fornirci, come possiamo non pensare che forse una statua e un parco a lui dedicati non siano esattamente un gesto simbolico e di grande rispetto nei confronti delle donne? Volendo anche condannare l’atto vandalico della scorsa notte, non è possibile lasciar cadere le polemiche e le richieste di dover togliere la statua dal parco perché lesiva della dignità di ogni donna che ha subito violenza, di ogni donna che non ha avuto giustizia per la violenza subita, di ogni donna che ogni giorno vive in una società che non la tutela e che non punisce queste azioni. Quella statua racconta tante storie, è vero, ma una di queste è stata ignorata, considerata poco importante, dimostrando, per l’ennesima volta, che la dignità delle donne e la giustizia possono anche essere messa da parte, soprattutto se in gioco ci sono poteri forti, un uomo importante e “famoso” ha diritto di stuprare una bambina senza conseguenze, neanche morali.
Vogliamo davvero che continui a passare questo messaggio?
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