Si chiude un capitolo di disagio e discordia con la quarta controversa, e forse non estremamente necessaria, stagione di 13 Reasons Why, la serie tv Netflix che ti tiene incollato ma non insegna niente. Già dalla seconda stagione ci chiedevamo se fosse davvero necessaria, la prima era stata creativa, innovativa, geniale a suo modo e un vero colpo di scena su tematiche atte a far riflettere e che hanno aperto dibattiti e polemiche, spesso necessari, per far discutere su temi come il bullismo, la violenza, gli abusi e il suicidio tra i giovani. La prima serie aveva un senso, voleva dire qualcosa, Hannah Baker con le sue cassette voleva raccontare qualcosa addirittura mandare un messaggio positivo e di speranza: aiutarsi l’un l’altro, capire chi ha più bisogno di noi prima che sia troppo tardi. Accorgersi di coloro che rimangono in silenzio; ogni gesto, se poco attendo e superficiale, può rivelarsi fatale per alcuni. Insomma ognuno ha la piena responsabilità delle proprie azioni verso sé stesso e verso gli altri.
Lo avevamo capito benissimo dalla prima stagione, ma la curiosità di sapere come sarebbero andate a finire le vite dei protagonisti era davvero forte, infatti la seconda serie era attesa con trepidazione. Il processo a Bryce Walker, uno dei personaggi più odiati delle serie tv, aveva senso perché chiudeva un cerchio e portava a un lieto fine o comunque a una parvenza di giustizia, ma così non è stato, non tanto per Bryce che ha avuto i suoi bei problemi poi nella terza serie, ma per tutto il contesto, un insieme di ragazzini che non riescono a prendere mai la decisione giusta o almeno quella meno dannosa.
Puntata dopo puntata non fanno altro che sbagliare sistematicamente; mentire, ingannare, ferire, distruggere, che uno dice: ma avete fatto tanto per cercare di insegnarci dei valori e poi siete i primi a non tenerne conto praticamente di nessuno?
Per esempio se ammazzi una persona vai punito, è giusto denunciare se sei a conoscenza dei fatti, è giusto anche non ammazzare se proprio vogliamo fare i moralisti, ma in questo caso le regole del gioco sono cambiate, c’era un personaggio antipatico Montgomery de la Cruz, non di certo un santo ma sacrificabile anche per i torti di altri, ovvero i personaggi amati dagli spettatori, allora facciamo in modo di incolpare l’antipatico per nascondere i simpatici, architettiamo un piano che pure nonna papera capirebbe (infatti l’Ufficiale Standall capisce la situazione alla fine della terza serie e… tace) e siamo tutti amici pieni di paranoie e sbatte. Nella quarta stagione passano per cattivi quelli che vogliono la verità, che cercano giustizia.
Non mi metterei a fare questo ragionamento se 13 Reasons Why fosse una serie tv come tante altre dove lo spettacolo batte la ragione e la giustizia, the show must go on!
Ma una serie tv che ha addirittura aperto un sito specifico, 13reasonswhy.info, dove invita i giovani rivolgersi per chiedere aiuto in caso qualcuno si trovi in difficoltà rispetto ai temi trattati (violenza, abusi, suicidio, disturbi mentali etc…) allora da questa serie mi aspetto di più. O per lo meno mi aspetto sani principi e giustizia. Per questo mi sento di dire che non è assolutamente un serie capace di insegnare qualcosa o capace di affrontare temi delicati nel modo corretto o, come dicevano alcuni, una serie da far vedere nelle scuole, nossignore, questa è semplicemente una serie tv teen drama, come lo è stata Pretty Little Liars (che ho adorato), e come lo sono tante altre, capace di tenerti incollato perché vuoi sapere come finisce o chi altro morirà, scritta in modo incisivo e scorrevole.
Insomma un ottimo prodotto mediatico che per necessità di business ha estremizzare la narrazione, aggiungendo nuove trame e sottotrame spesso confuse che si protraggono troppo a lungo diventando quasi paradossali.
Come i suoi personaggi che fino all’ultimo vengono strizzati come delle spugne e, come nel caso di Clay Jensen, fino alla pazzia dove scivoliamo in un mondo parallelo, si potrebbe definire un “sottosopra” dove attacchi di panico e ansia fanno comparire fantasmi troppo reali e i momenti di tensione sono scanditi da sequenze ottime per un film horror di serie B con scarafaggi che escono dalla bocca e musiche violente, tutto questo solo per poter portare avanti la serie. Deve essere stata una vera faticata per gli sceneggiatori, talmente difficile che la vera protagonista, quella da cui tutto parte Hannah Baker, diventa uno sbiadito ricordo di un passato lontano di cui forse non interessa più nulla a nessuno.
Per tenere alto il livello di attenzione si punta tutto sulla tragedia, così la conclusione è racchiusa in un finale struggente da un’ora e mezza in cui succede tutto per niente. Salutiamo così 13 Reasons Why che chiude definitivamente il sipario lasciandosi alle spalle quella dignità che aveva raccolto fino alla seconda stagione.
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