Il 21 febbraio Amazon Prime Video ha rilasciato Hunters, serie tv scritta e diretta da David Weil. Si comincia bene fin dal banner pubblicitario che vede in primo piano Al Pacino, per la prima volta protagonista di una serie. Accanto a lui troviamo un cast molto interessante composto da Longan Lerman, Jerrika Hinton, Saul Rubinek, Carol Kane, Josh Radnor nei panni degli hunters, i cacciatori appunto, ma di cosa?
Il pretesto narrativo che ha subito attirato lo spettatore è il seguente:
A New York nel 1977, un eterogeneo gruppo di cacciatori, tutti ebrei tutti collegati in modo diretto o indiretto al genocidio della Seconda Guerra Mondiale, ha scoperto che centinaia di ufficiali nazisti di alto rango si nascondono tra le persone comuni, cospirando per creare il quarto Reich negli Stati Uniti. Il gruppo di cacciatori è guidato da Meyer Offerman (Al Pacino) e si avventura in una sanguinosa ricerca per assicurare i nazisti alla giustizia, una giustizia privata più che super partes, e ostacolare il loro nuovo piano genocida.
Gli ingredienti così composti hanno reso di per sé la serie interessante, soprattutto con la presenza di Al Pacino che siamo abituati a vedere al cinema. La partecipazione di un pezzo da novanta come lui ci dà innanzitutto la misura di quanto si stiano evolvendo le serie televisive come prodotto di qualità che per arrivare a livelli alti partono da pezzi importanti per comporre il prodotto finale; ma non si attinge solo dal parco attori per raggiungere un livello alto perché quando abbiamo a disposizione un prodotto come Hunters ci accorgiamo subito che la qualità sta in tutti i campi, dalla regia alla fotografia, dai costumi alle scene, ogni pezzo del puzzle è pensato e messo in scena nei minimi particolari.
Hunters ha innanzitutto due cose che ce la rendono interessante e avvincente prima ancora di avviare il primo episodio: il pretesto narrativo e l’ambientazione anni settanta.
Chi non vorrebbe vedere una manica di nazisti, colpevoli della morte di migliaia di ebrei, soffrire e pagarla cara?
Non è forse eccitante per certi versi vedere che per una volta i buoni consumano la propria sete di vendetta sui cattivi?
Sì, perché il sentimento da cui parte tutto è la pura vendetta, e parlandoci chiaro tutti abbiamo desiderato almeno una volta vendicarci di un torto subito; per non parlare del piacere tutto umano che ci darebbe il sapere che un cattivo che ha seminato paura e dolore possa provare lo stesso.
In questo non c’è nulla di male se si accetta la voglia di rivalsa e vendetta come sentimento umano che compone il nostro essere esattamente come il bene.
Gli ebrei di questa storia sono dunque aggressivi, violenti e vendicativi e Al Pacino nei panni di Meyer è il più freddo fra loro, colui che lucidamente ha studiato il piano d’azione e con altrettanta freddezza infilza un nazista dopo l’altro con il coltello della sua personale vendetta. Possiamo forse dare torto a un uomo che ha visto la morte in faccia ad Auschwitz? Che ha attraversato l’inferno e ne è uscito vivo? Forse no, a meno che non vogliamo eseguire alla lettera il principio cristiano di porgere l’altra guancia. Ma qui stiamo parlando di ebrei, figli del vecchio testamento che, come si sa, è la parte più sanguinaria della Bibbia. Quella parte dove Dio è un punitore dei malvagi.
La prima sequenza della prima puntata ci rende subito chiara la direzione del racconto, impostato con le atmosfere del fumetto e con una fotografia dai colori densi, brillanti e corposi. Questa prima sequenza e per le scelte registiche e per la fotografia con l’interpretazione magistrale è degna di Quentin Tarantino tanto che sembra averla girata lui in persona.
Non farò spoiler nel raccontarla poiché si tratta dell’inizio della storia e del motore che ci fa subito entrare nel clima.
Siamo in una tipica villa americana con piscina e quello che sembra essere il tipico americano medio sta cuocendo della carne sul suo barbecue mentre i figli nuotano in piscina e la moglie accoglie gli ospiti. Si tratta di una coppia giovane, il marito li saluta accogliente quando la ragazza muta espressione e il suo sguardo diventa quello del terrore. Lo ha riconosciuto e lo chiama per nome, non è chi sembra ma è lo sporco nazista responsabile della morte di tutti i suoi cari.
Lui inizialmente fa finta di nulla ma poi capisce che la sua copertura è saltata e allora, a sangue freddo, tira fuori un’arma e spara a tutti, senza distinzione. Uccide la moglie, i figli, gli altri presenti e il fidanzato della ragazza; lei resta per ultima, terrorizzata e ancora una volta circondata dal sangue di un gruppo di innocenti capisce che per lei è finita e lui, il nazista, con tutto il disprezzo che ha in corpo la finisce.
Con un incipit così significativo la serie promette bene e a questo punto ne siamo completamente catturati. Oltre ai momenti alla Tarantino non mancano quelli da fumetto. Quando va spiegato qualcosa allo spettatore assistiamo a piccoli intermezzi ironici e un po’ cartooneschi che stemperano la tensione rendendo interessanti anche quei piccoli necessari spiegoni. Il tutto è infarcito di una serie di elementi pop, dalla musica ai costumi per arrivare allo stesso linguaggio.
Fino al quinto episodio Hunters procede con un ritmo serrato che ci tiene incollati allo schermo per tutti i motivi tecnici e artistici sopra elencati ma poi si sente un momento di stanca in cui sembra che la storia giri su se stessa.
Il protagonista, Jonah (Logan Lerman) è chiamato all’azione da una circostanza infausta, sua nonna reduce da Auschwitz, muore assassinata da una figura misteriosa lasciandolo orfano. A questo punto Jonah conosce Meyer e il suo team, tutti amici di sua nonna, Meyer in particolare aveva un rapporto decennale con lei che risaliva ai tempi del campo di concentramento.
Jonah viene coinvolto nella caccia ma è in continua lotta tra ciò che sarebbe giusto fare e il desiderio di vendetta. Questo dissidio interiore viene portato troppo avanti e a un certo punto sembra diventare il centro della storia.
I flashback sono inizialmente centellinati ma fondamentali per la comprensione di alcune dinamiche, tuttavia nella seconda parte sono addirittura un motore delle azioni che vediamo nel presente. Restiamo di più nel campo di concentramento che nel presente dei personaggi.
Il gruppo di cacciatori per quanto composto da figure tridimensionali, prese singolarmente, non è amalgamato e non sempre, salvo poche eccezioni riusciamo ad affezionarci davvero.
Lo stesso Jonah che porta avanti l’azione e dovrebbe essere il personaggio tecnico, nella seconda parte inizia davvero a stancare con i suoi continui dubbi e questo suo dondolio tra un lato e l’altro delle barricate risulta irritante.
Il personaggio più interessante è quello di sorella Harriet, interpretato da Kate Mulvany. Una giustiziera misteriosa che riempie di mazzate i nazisti e non cede mai alle proprie debolezze. Il suo personaggio ci riserva delle sorprese inaspettate.
In generale, dunque, la serie è un racconto avvincente e gradevole con colpi di scena e false piste confezionato bene per l’intrattenimento e va sicuramente visto. Forse con un paio di episodi in meno e senza il finale con rilancio che sfocia nel surreale sarebbe stato un lavoro perfetto.
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