Anche i loghi si sono adattati alla distanza da coronavirus, come devono comunicare le aziende di questi tempi, ovvero in un momento in cui il 40% della popolazione mondiale vive in quarantena e a tutti è chiesto di stare distanti gli uni dagli altri almeno un metro?
Il mondo della comunicazione – anche d’impresa – si è subito attivato, seguendo questa trasformazione un po’ per marketing e un po’ per una rinata attenzione alla responsabilità sociale. Uno dei trend più originali è quello messo in atto da diverse aziende internazionali che hanno ridisegnando i propri loghi distanziandone le parti e/o i caratteri essenziali. McDonald’s, Coca-Cola, Audi e Volkswagen sono state le prime a cimentarsi e hanno affiancato a questa trasformazione messaggi ai consumatori riguardo all’importanza della “social distancing“, ovvero invitando tutti a rispettare le distanze necessarie (almeno un metro) per contenere il contagio da coronavirus.
In Italia invece si fa notare la provocazione artistica e intellettuale, perciò senza alcun fine commerciale, di Lorenzo Marini, artista e Art Director di moltissime aziende oltre che ideatore di famosissimi spot. Interessante l’esito dei suoi loghi “distanziati” della serie di opere “Italian Distant Logo“: dall’uovo “scomposto” della Barilla, alla n…utella, all’irriconoscibile aquila di Armani, ma anche la modifica del logo di FIAT e Martini.
Quali sono dubbi suscitati dalla trasformazione della comunicazione d’impresa determinata dalla pandemia di coronavirus. Se convincere le persone a rinunciare a quasi ogni forma di socializzazione e al chiudersi in casa non è e non è stato facile, non sono mancate le critiche sul reale senso e fine ultimo delle tante iniziative di comunicazione di aziende e/o personaggi famosi: sono efficaci e aumentano il senso di appartenenza/empatia o sono tentativi di puro marketing personale/aziendale, che rischiano infine di svilire la gravità del momento? Meglio quindi le aziende che si sono convertite alle “produzioni utili” per sconfiggere il virus?
Secondo Lorenzo Marini “Ogni azienda ha oggi bisogno di far parlare bene di sé. Se negli anni 80-90 la pubblicità stile Toscani ha illuso le aziende che fosse sufficiente la provocazione e che l’importante fosse far parlare di sé, oggi la sfida è far parlare tanto e bene di ciò che si fa, l’inserire un contenuto sociale anche nella comunicazione commerciale.
È il mondo a chiederlo e le aziende devono rispondere. Siamo quindi passati da strategie di mera brand awareness a più complesse strategie di brand identity che hanno o cercano di unire forma e contenuto. Non ritengo perciò che modificare un logo sia più mercificante di comunicare al mondo che una piccola parte della propria produzione sia stata convertita nella produzione di mascherine. A livello di comunicazione l’intuizione di integrare una trasformazione sociologica – come il social distancing – nella brand identity diventa geniale e coerente nel momento in cui mi metto anche a “fare” qualcosa di buono. Che poi tale “bontà” venga comunicata e resa “notiziabile” non ci dovrebbe scandalizzare, perché le imprese non vanno demonizzate, ma sostenute sempre, a maggior ragione quando fanno qualcosa di utile per la società; le imprese sono il motore della nostra società e saranno alla base della ripresa nel post-coronavirus”.
Pensando infine al contesto italiano Marini aggiunge che: “Bisogna poi stare attenti che tanti imprenditori italiani da anni sono generosissimi, ma non amano farlo sapere: donano loro a livello personale e anonimo, piuttosto che farlo in modo pubblico attraverso le aziende. In tempi come i nostri in cui anche le aziende sono sempre più social, a livello di comunicazione strategica questa non è forse la scelta migliore, ma l’austerità, la pragmaticità e la riservatezza sono innegabilmente da sempre peculiarità e punti di forza del nostro sistema imprenditoriale”.
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