La Sala di Fetonte, continua la scoperta dei tesori di Villa Arconati
Continua la scoperta virtuale dei “tesori” che Villa Arconati-FAR custodisce, un viaggio attroaveraso le sue magnificenze, oggi scopriremo una delle stanze più affascinanti: la Sala di Fetonte.
Spesso viene definita “il fiore all’occhiello” di Villa Arconati-FAR, è la sala più spettacolare, la più impressionante, quella che genera stupore e ammirazione in chiunque vi entra, è la sala che, anche se Villa Arconati-FAR è una reggia, non ti aspetti di trovare, perché supera l’immaginazione di qualsiasi visitatore.
E sono questi i sentimenti che Giuseppe Antonio Arconati nel Settecento volle suscitare, quando la fece realizzare, nel sogno di gloria della sua «piccola Versailles»… e possiamo dire che ci è riuscito alla grande!
IL SALONE DEI RICEVIMENTI
La sala si trova in posizione strategica, al piano nobile della Villa, appena saliti dallo Scalone d’onore e funge da collegamento tra le diverse ali del palazzo.
La sua decorazione imponente ha fatto ipotizzare che qui si ospitassero banchetti e feste per le personalità più illustri in visita, tuttavia non abbiamo finora ritrovato alcun documento che attesti questo tipo di utilizzo della sala, anche se lo riteniamo assolutamente plausibile.
La realizzazione di una sala (o salone) riccamente decorato e quindi “da parata” era d’uso nelle residenze nobiliari dell’epoca, in quanto serviva appositamente per l’autocelebrazione del proprio casato.
IL MITO DI FETONTE
L’amore per l’arte classica è stato vivo negli Arconati fin dal Seicento, così come del resto era d’uso nel Settecento decorare i saloni delle proprie residenze con scene tratte dai miti classici.
Il mito di Fetonte è narrato nelle Metamorfosi di Ovidio e di certo all’epoca era molto conosciuto, quindi immediatamente riconoscibile, dagli Ospiti in visita della regia villa Arconati.
Il mito narra la storia del giovane Fetonte, presuntuoso figlio del dio del Sole, Apollo, che per dimostrare a tutti di essere figlio di una divinità dell’Olimpo, chiede al padre per un giorno di essere lui a condurre il carro del Sole nella sua corsa celeste all’interno della giornata.
Il padre, seppur molto preoccupato per la folle richiesta del figlio, acconsente a fagli guidare il carro, dopo molte raccomandazioni circa la pericolosità dell’atto.
Nella sua presunzione, Fetonte sale sul carro e corre verso la volta celeste, dove viene spaventato a morte dalle terribili costellazioni. Terrorizzato dall’altitudine vertiginosa del cielo, lo sciagurato cerca di portare il carro verso il basso, ma la Terra comincia ad inaridirsi per la vicinanza del calore del Sole, divampano terribili incendi, tanto che la Madre Terra si rivolge a Zeus per chiedere aiuto. Il padre degli dei, quindi, si vede costretto ad intervenire per arrestare la distruzione messa in atto dalla scelleratezza di Fetonte: scaglia un fulmine contro il carro del Sole, Fetonte precipita e muore miseramente.
Il mito di Fetonte non è certo un racconto a lieto fine!
Che stranezza scegliere un mito così amaro, dal finale tanto triste, per il salone che doveva autocelebrare la grandezza della Famiglia Arconati… Stranezza, o forse no!
La scelta di questo mito non è affatto casuale, come niente del resto lo è nella nostra piccola Versailles: scegliendo un mito che stigmatizza il peccato capitale della Superbia, gli Arconati mirano ad affermare ancora con più forza la propria Nobiltà.
Il loro messaggio per gli Ospiti appare chiaro, specialmente per coloro che entrando nella preziosa Villa degli Arconati potevano pensare che ciò che vi si trovava fosse una mera ostentazione: gli Arconati sono consapevoli che chi è superbo, ovvero dimostra con la propria esistenza di essere differente da ciò che mostra di sé (una nobiltà falsa, posticcia, solo esteriore), al termine dei propri giorni subirà la caduta, proprio come Fetonte. Questo, però, agli Arconati non accadrà! Loro sono consapevoli dei rischi della superbia, quindi affermano con forza che la loro “nobiltà” è reale.
Il MEMENTO MORI e i DETTAGLI dell’iconografia della Sala
L’imponente pittura, realizzata con la tecnica del mezzo fresco, è un autentico capolavoro non solo dal punto di vista estetico, ma anche per la minuzia dei dettagli iconografici presenti nel mito, che in essa sono riprodotti.
Le due scene principali dipinte sui lati sud e nord della sala, riproducono i momenti salienti del mito: l’inizio della storia, in cui Fetonte sale sul carro del Sole, pronto per iniziare la propria giornata “da dio”; e la scena finale della caduta. Sulla volta della sala, vediamo Zeus riprodotto con l’aquila, suo classico emblema, nell’atto di scagliare un fulmine contro Fetonte, per fermare la sua folle corsa distruttrice.
Oltre a queste scene, tuttavia, si trovano altri dettagli che arricchiscono la scena e sono presenti all’interno della narrazione del mito nelle Metamorfosi di Ovidio: sulla parete est – e questo non è assolutamente casuale – troviamo l’Aurora, con la fiaccola accesa e la rosa in mano, preceduta da Lucifero, la stella del mattino, la quale indica a Fetonte la via da seguire nel suo percorso. Posizionate sotto alla caduta di Fetonte, ecco comparire le Quattro Stagioni, sconvolte dall’accaduto.
Oltre all’iconografia legata al Mito di Fetonte, all’interno dell’affresco compaiono alcuni riferimenti anche al memento mori, il «ricordati che devi morire», altro elemento usuale nell’iconografia del tempo e che si riallaccia al timore della nobiltà di essere tacciata di superbia.
Il monito ricorda la caducità della vita umana e nell’arte è solitamente caratterizzato da elementi allegorici quali teschi, candele consumate dalla fiamma, frutti ammaccati, fiori appassiti, clessidre e altri elementi che simboleggiano lo scorrere inesorabile del tempo.
Nell’iconografia della sala vi sono ben tre elementi legati allo scorrere del tempo: una donna alata che tiene in mano una clessidra, un putto che regge una meridiana e soprattutto la figura anziana, posizionata sotto alla ruota del carro del Sole: ecco Saturno con l’inesorabile falce in mano, pronto a recidere la vita degli uomini al termine dei loro giorni.
I FRATELLI GALLIARI: da Villa Arconati alla Scala di Milano
Il conte Giuseppe Antonio Arconati, che commissionò la decorazione della sala, era un grande amante del teatro (tra gli altri, fu anche mecenate di Carlo Goldoni, che gli dedicò la sua pièce La putta onorata) e questa sua passione si ritrova anche nella scelta degli artisti che realizzarono l’affresco. Furono chiamati, infatti, dall’Arconati i Fratelli Bernardino, Fabrizio e Giovanni Antonio Galliari, che erano tra gli scenografi più apprezzati al tempo: la loro scenografia dell’Europa riconosciuta di Antonio Salieri inaugurò la Scala di Milano nel 1778. Essendo le opere dei fratelli Galliari per lo più scenografie per il teatro, ad oggi la Sala di Fetonte di Villa Arconati-FAR è uno dei pochissimi esempi ancora visibili della loro magnifica arte.
I fratelli Galliari riuscirono in maniera mirabile a “celare” il messaggio degli Arconati per i loro Ospiti all’interno di una scenografia talmente ridente, maestosa e opulenta che il primo impatto con la sala è di certo di stupore e anche di invidia…
Viene davvero da pensare che gli Arconati un po’ superbi dopotutto lo erano!
Entrati, però, nel profondo del significato della pittura, andando oltre la prima impressione, il messaggio finale ci costringe ad inchinarci ai padroni di casa. L’effetto sorpresa è assicurato ed ancora una volta agli Arconati non si può che dire chapeau!