Era la prima tappa della nuova tournée di Ci aggiorniamo! Dipendenze croniche di massa, spettacolo scritto da Germano Lanzoni e Walter Leonardi, prodotto da Buster. In scena il solo Lanzoni, accompagnato da Orazio Attanasio alla chitarra, per le musiche e canzoni originali che i due hanno composto a quattro mani. Lo show si propone di recuperare e diffondere la tradizione milanese del teatro canzone e dei grandi comici degli anni sessanta/settanta.
Germano Lanzoni fa l’attore e il comico, il suo mestiere è salire su un palco o davanti a una camera, farsi sparare le luci addosso, lasciare che centinaia di occhi siano puntati su di lui. E questo mestiere lo sa fare dannatamente bene, bisogna ammetterlo.
Forse che Germano è solo un giullare, come può far intuire una delle canzoni che ha presentato durante lo show? Io non credo.
Anzi, il comico ha anche provato a rimettere in gioco il proprio mestiere, mettendosi a scrivere musiche e canzoni, a recitare in dialetto, ha provato a riportare in vita una tradizione teatrale che ha fatto la storia delle sale milanesi.
Se quest’ultimo è un aspetto che ho apprezzato molto, ci sono però altre cose che mi fanno parlare di un’occasione sprecata.
La figa e il fatturato, giusto per citare il leitmotiv della serata, un brodo allungato e stiracchiato all’inverosimile, ahimè.
Per la verità, Germano Lanzoni cerca anche di scavare più a fondo. Ho apprezzato quando si è messo a parlare dei ricordi, dei sogni dei genitori nella Milano del Dopoguerra, delle leggi spietate tra ragazzini che giocavano nei cortili. Ha provato a parlare anche dell’essere eroi tutti giorni, del diventare padri e del dover affrontare ostacoli che paiono diventano insormontabili.
Tuttavia, è stato come non ci credesse davvero fino in fondo, come se avesse avuto paura perché il pubblico aveva smesso di ridere. E allora, ecco che il comico fa la mossa da giullare: una bella battuta sulla figa e una sul fatturato e giù il Teatro Nuovo che si sganascia dalle risate.
Nemmeno battute per la verità, bastava nominarle ogni tanto come parole magiche per generare la reazione becera degli spettatori.
Non so, non riesco a riconoscermi in questi atteggiamenti esasperati, mi sembra che manchino alcuni valori che invece sento profondamente miei in quanto milanese. La discrezione, per esempio.
Al contrario, mi sono piaciuti molto di più i momenti in cui Lanzoni ha evocato questo spirito milanese di fondo, mentre recitava Walter Valdi, o quando con pochi tratti ha raccontato la Stazione Centrale, i viaggiatori in arrivo e in partenza salutati dai fantasmi di Gaber, Jannacci e Fo, artisti omaggiati dalle parti musicali dello show stesso.
E allora che bisogno c’è di ricadere continuamente in quella irritante macchietta del Germano Lanzoni che ammorba di branded contents le nostre bacheche YouTube?
Dobbiamo continuare anche nel 2020 a fare il verso al Dogui? “Ivana, fai ballare l’occhio sul tic…” ha fatto ridere tutti quanti, ma era il 1983. Ha senso continuare a dipingere i milanesi seguendo il canovaccio di un personaggio fittizio inventato 50 anni fa da un dentista di Bergamo?
Forse sono domande che vale la pena di porsi, soprattutto quando questo tipo di comicità si porta dietro quel tipo di pubblico sciagurato che ho incontrato in platea l’altro giorno.
Diciamoci la verità, erano tutti lì per vedere il Germano Lanzoni che fa le gag della figa e del fatturato.
Ho visto giovani marketer rampanti piegarsi in due dal ridere al solo sentir nominare i KPI (Key Performance Indicators) e una sciura bionda da rinfresco che ululava e si sbracciava rivendicando le radici milanesi, ma dell’interland: “Io, io, anch’io di Cormanoo!!!”.
E fin qui tutto bene. Meno bene quando il pubblico non riesce a capire che si trova in un teatro, quando continuano a fare foto col flash, quando schiamazzano “Giargiana!” a destra e a manca ad altri spettatori, quando sghignazzano e si dimenano come oranghi a ogni battuta sulla figa e il fatturato.
Diventa ancora più grave quando proprio non si è in grado di distinguere la vita vera dalla finzione comica del personaggio e dell’immaginario fittizio evocato. E si condisce questo deficit mentale con becerismo in abbondanza e palese razzismo. Sentir urlare “Ueh, négher!” a una delle maschere del Teatro è davvero avvilente.
Mi aspettavo qualcosa di meglio da Ci aggiorniamo! Dipendenze croniche di massa, o almeno me l’ero immaginato in modo diverso leggendo il comunicato stampa. Sicuramente ha riscosso un grande successo tra gli spettatori del Teatro Nuovo, sarà interessante scoprire come andrà nelle prossime tappe a Torino, Bologna e Roma e come reagirà il pubblico.
PROSSIME DATE
19 febbraio 2020 Le Musichall di Torino
26 febbraio 2020 Teatro Dehon di Bologna
25 aprile 2020 Sala Umberto di Roma
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