È andato in scena al Piccolo Bellini di Napoli In nome del padre, lo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Mario Perrotta con la consulenza alla drammaturgia di Massimo Recalcati.
Il nostro tempo è il tempo del tramonto dei padri. Ogni esercizio dell’autorità è vissuto con sospetto e bandito come sopruso ingiustificato. I padri smarriti si confondono coi figli: giocano agli stessi giochi, parlano lo stesso linguaggio, si vestono allo stesso modo. La differenza simbolica tra le generazioni collassa.
Il linguaggio dell’arte – e in questo progetto di Mario Perrotta che ho scelto di accompagnare, il linguaggio del teatro – può dare un contributo essenziale per cogliere sia l’evaporazione della figura tradizionale della paternità, sia il difficile transito verso un’altra immagine, più vulnerabile ma più umana, di padre.
Massimo Recalcati
In scena un confronto tra generazioni. Tre figure paterne e un attore che le incarna: tre padri diversi, in piena crisi, quasi ridicoli a confronto con i figli adolescenti. Un monologo che è un flusso di dialoghi spesso mancati. Dialoghi in cui i figli adolescenti sono gli interlocutori disconnessi rispetto all’orizzonte comune dei tre padri che, a forza di sbattere i denti sullo stesso muro, si ritrovano nudi, con le labbra rotte, circondati dal silenzio. E forse proprio nel silenzio potranno trovare cittadinanza le ragioni dei figli.
Nell’interpretazione di Perrotta vi è un mutare di dialetti e gestualità che è utile alla differenziazione dei personaggi e serve a renderci chiara la fotografia di due generazioni a confronto; tanto da avere l’impressione che vi siano più soggetti ad interagire sulla scena. Padri diversi di cui traspare l’ansia e la preoccupazione per la prole, una prole che è una massa informe e incomprensibile; complessa nel suo modo di agire e di esprimersi e soprattutto lontana dalla generazione dei padri.
Gli interrogativi posti da Perrotta nel testo sono cruciali, fondamentali e anche crudi ma nel farlo egli non si allontana mai troppo dal quotidiano, anche se di fatto il suo è proprio un lavoro di astrazione che mette in evidenza un fattore della società.
Non vi sono più certezze nel mondo quando arriva un figlio, tutto ciò di cui sei convinto svanisce per lasciare il posto a tante domande e alla continua sensazione di brancolare nel buio, di trovarsi nel vuoto; come vuoto è lo spazio scenico nel quale agisce l’attore che si ritrova a parlare con ombre e sagome che rappresentano le sue paure più grandi e simbolicamente la figura dei figli a cui si rivolge.
Uno spettacolo che è riflessione dunque, non solo per chi è genitore ma anche per chi non lo è o vorrebbe esserlo.
INFO:
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