È in scena al Teatro Bellini di Napoli fino al 12 gennaio l’Antigone di Sofocle, per la regia di Laura Sicignano. Traduzione e adattamento Laura Sicignano e Alessandra Vannucci con Sebastiano Lo Monaco e con Lucia Cammalleri, Egle Doria, Luca Iacono, Silvio Laviano, Simone Luglio, Franco Mirabella, Barbara Moselli, Pietro Pace.
La produzione è del Teatro Stabile di Catania e ha debuttato al Teatro Verga il 15 ottobre 2019.
L’intramontabile e sempre attuale storia di Antigone è nota ai più:
All’indomani di una guerra civile, Creonte re di Tebe deve riportare la pace tra le macerie attraverso un editto: il sovrano condanna a rimanere insepolto il cadavere di Polinice, uno dei fratelli contendenti. Creonte come nuovo regnante è consapevole che il suo dovere ora è sancire il confine tra vincitori e vinti, tra buoni e cattivi, scrivendo la Storia con la Ragion di Stato e sradicando ogni possibile focolaio di ribellione. Si oppone a queste leggi una giovane, Antigone, senza odio personale, in nome di un giustizia umana che precede e supera le leggi. Antigone è la diversa e l’eccezionale: come figlia di un incesto, per il destino di profuga a cui la condanna il padre cieco Edipo, per essere sorella di due fratricidi, per la forza della sua ribellione femminile. E’ lei a scatenare il conflitto irrisolvibile con Creonte, ponendosi perciò in pieno nel destino tragico che ha contrassegnato la stirpe dei Labdacidi. La pietas di Antigone la pone ora come estranea alle leggi della città, in diretto contatto con le leggi degli dei e dei morti. Madonna pagana piangente sul corpo del fratello, celebra il rito e diventa pericolosamente anarchica. Creonte e Antigone si fronteggiano in enormi solitudini, a costo di perdere ogni felicità.
In ottanta minuti di messa in scena la Sicignano ha voluto raccontare una delle tragedie per eccellenza nella storia del Teatro e ha voluto farlo riportando riferimenti attuali, a cominciare dai costumi, che mettessero in evidenza il carattere senza tempo dell’Antigone.
Le scene danno subito l’idea di palazzi pronti a crollare, di polvere e di macerie. E il confronto tra la vecchia generazione, rappresentata da Creonte e la nuova, rappresentata dalla stessa Antigone e dal suo promesso sposo, rimandano al conflitto che ancora oggi esiste tra i due poli.
La tragedia però, come purtroppo sembrano raccontarci anche i nostri giorni, vede perire i giovani a causa del vuoto di vivere dei vecchi o perché questi ultimi hanno preso tutto e non vi è rimasto più nulla. Per questo vi è tutto intorno solo polvere e disfacimento.
Il testo della Sicignano evoca anche guerre lontane, violenza, morte orrori solo suggeriti da alcuni gesti e da alcune parole; pur restando fedele alle parole di Sofocle. I sudditi di Creonte sono vestiti come dei soldati moderni, mentre lui indossa un abito bianco con la cravatta e un maestoso mantello che lo fa sembrare più grosso in scena, rispetto agli altri. Solo Antigone, la sorella Ismene e Tiresia sembrano restare fedeli anche nell’aspetto al testo originario. Questo insieme di stili diversi nell’abbigliamento stona un po’, dando l’idea di qualcosa di frammentario, provocando quasi un senso di disturbo. Forse si vuole alludere anche attraverso i costumi al contrasto fra le due fazioni.
Purtroppo l’interpretazione generale ha lasciato a desiderare. Antigone in alcuni momenti si lasciava andare a toni tropo scuri e la voce ne risultava poco chiara, come se il personaggio fosse posseduto da uno spirito e cedesse a una forma di estasi diabolica del tutto inutile rispetto alla calma sicurezza della martire basata sulla convinzione che la legge divina sia sempre superiore e non ci si può opporre ad essa.
Poco convincente e poco chiaro nel linguaggio Creonte che si è fatto superare dall’esecuzione più fresca e pulita degli interpreti giovani.
In generale il testo è risultato troppo frettoloso. Forse ci si poteva soffermare di più su alcuni temi che invece vengono solo suggeriti.
E’ interessante la predominanza maschile nella messa in scena di un testo che, fin dal titolo, vede come protagonista una donna eppure sono più presenti in scena gli uomini e parlano più delle donne. Delle tre figure femminili presenti, Euridice, resta in silenzio per la maggior parte del tempo. Come una presenza muta e passiva, Ismene parla all’inizio e poi poco prima della fine per poi dileguarsi come un fantasma e infine Antigone la sentiamo portare avanti la sua causa in un paio di monologhi per poi rientrare in scena da morta nel finale.
Forse la regista nella messa in scena ha voluto sottolineare la dominanza maschile portando l’attenzione sulla disparità tra uomo e donna che purtroppo vediamo ancora oggi.
Tra gli elementi migliori della rappresentazione la musica dal vivo eseguita da Edmondo Romano che ci ha riportato nell’antica Grecia con le suggestive musiche originali che hanno saputo creare la giusta atmosfera.
Scene e costumi di Guido Fiorato e con le musiche originali eseguite dal vivo di Edmondo Romano. Le luci sono di Gaetano La Mela 3 e l’audio di Giuseppe Alì.
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