È in scena fino all’8 dicembre al Piccolo Bellini di Napoli, Battuage di Vuccirìa Teatro per la regia di Joele Anastasi con Joele Anastasi, Enrico Sortino, Federica Carruba Toscano, Ivan Castiglione.
Battuage è il termine coniato per definire i luoghi battuti da persone in cerca di rapporti occasionali. Generalmente, si tratta di luoghi all’aperto o facilmente accessibili da un vasto pubblico, frequentati da singoli o coppie dedite allo scambismo. L’attività del “battere” si differenzia dalla prostituzione in quanto non presume un rapporto sessuale a pagamento. Vespasiani, parchi cittadini, spiagge, cimiteri, cinematografi, parcheggi, aree di servizio. Non di rado però questi luoghi sono gli stessi frequentati da marchette, prostitute, transessuali che offrono sesso in cambio di denaro.
Battuage pertanto dovrebbe raccontare tutto questo, un marasma di luoghi e personaggi, un viaggio aperto all’interno dell’animo umano. Va da sé che ci si aspetti di trovare diversi tipi di personaggi e diversi luoghi in cui si possa vedere da vicino il mondo appena descritto. Stando alle premesse davanti ai nostri occhi dovrebbero presentarsi brutalità e bestialità personificate. Il popolo di questo luogo-non luogo ci viene raccontato attraverso gli occhi di Salvatore, un giovane lavoratore del sesso.
Salvatore dichiara fin dal primo momento di battere perché desidera avere in pugno tutti, uomini, donne, animali o ermafroditi. Perché a Salvatore piace piacere e non si sente una vittima, non essendo costretto da nessuno. È l’esempio di un uomo disposto a tutto: a dissacrare quello che egli stesso ha elevato a sacro; a smantellare a piacimento i suoi valori, le sue idee, i suoi ideali.
In pratica questa figura bidimensionale, ormai diventata un cliché di molte storie, dovrebbe essere forse, nella visione del regista, il simbolo del sesso puro, dello scambio, del do ut des. Ma finisce con l’essere una figurina scolorita che apre molte linee di lettura sul tema senza, purtroppo, chiuderne neppure una.
In scena vediamo una serie di orinatoi con specchi, ciascuno con alla base un baule da cui gli altri tre interpreti possono recuperare i costumi che di volta usano per cambiare identità. Tutti i cambi sono a vista e vengono fatti sullo sfondo mentre in scena una o due figure agiscono.
Quindi non più luoghi ma un solo luogo, forse un bagno pubblico, forse metafora di un tutto, forse semplicemente un pretesto. Mentre Salvatore, che ha introdotto il tema, osserva compiaciuto e di tanto in tanto commentando al microfono, vediamo un paio di trans che aspettano i clienti, di scambisti neanche l’ombra. Anche in questo caso c’era, almeno nelle intenzioni l’obiettivo di raccontare più figure, più personaggi, più modi di vivere il sesso e invece ci ritroviamo il cliché trans che si contendono il marciapiede.
Dove è finito il sesso fine a se stesso?
Viene da chiedersi quale sia l’obiettivo se dobbiamo vedere situazioni da marciapiede, storie già viste di prostitute sfruttate e dei loro magnaccia; ragazzi indecisi, frustrati e incerti sulla propria sessualità che fanno esperienze di vario genere di nascosto mentre lasciano andare la propria vita nell’indecisione più totale; la classica coppia che per essere trasgressiva si dà ai rapporti estremi e finisce vittima del proprio stesso gioco.
Il problema non sta nel ritrovare ancora una volta questo genere di personaggi ma piuttosto si riscontra nella scarsa tridimensionalità degli stessi. Chi sono davvero? Qual è il loro obiettivo? Dove arrivano alla fine della storia? Quali sono i sentimenti dei personaggi?
L’impressione è che vi siano una serie di situazioni, per altro piene di luoghi comuni, che non portano davvero a nulla se non a qualcosa di già visto.
Risulta una stortura nel 2020 vedere ancora lo stereotipo della coppia sposata con il marito che va a trans, i travestiti che fanno marchette e le prostitute sfruttate. Stiamo parlando sicuramente di qualcosa di reale che è ancora presente nel nostro mondo ma sarebbe stato interessante vedere declinato il tema secondo le intenzioni iniziali e quindi raccontando cose ancora poco viste. Lo scambismo poteva essere per esempio uno degli argomenti, perché è ancora poco dibattuto eppure molto praticato anche a livelli medio bassi e non solo nell’alta società. In questo contesto il sesso è davvero un piacere fine a se stesso e viene visto esclusivamente come un gioco.
Perché allora non esprimere a pieno il concetto di libertà che è strettamente legato alla sessualità in tutte le sue forme e declinazioni? O forse l’intenzione era quella di parlare del sesso come valuta di scambio e spersonalizzazione?
Se c’è qualcosa nella vita dell’uomo ad essere molto variegato, e lo abbiamo visto con l’arrivo in questi tempi della fluidità sessuale, perché non andare oltre le figurine e approfondire tutto ciò?
Un altro elemento discutibile e non necessario della messa in scena è la scelta di applicare gli spiegoni in proscenio con i personaggi che mentre stanno lì a dirti: guarda che questa cosa vuol dire questo, per non stare proprio senza far niente si muovono meccanicamente facendo gesti che di fatto non aggiungono nulla.
Una cosa sicuramente chiara è stato il carattere fortemente simbolico delle situazioni, insieme all’impegno di tutti gli interpreti. Si percepisce la fatica fisica che quei corpi in scena hanno dovuto sostenere per quasi due ore di spettacolo.
Volendo poi accettare tutto questo, perché mai raccontarci tanti inizi ma nessuna conclusione? Per poi vedere alla fine Salvatore, manco a dirlo in proscenio, che ci fornisce attraverso una citazione, letta su un foglio di carta, la morale della favola: l’amore ci salva da tutto.
Dunque il senso di tutto era ancora una volta l’amore, il caro vecchio amore che “move il sole e le altre stelle” come disse qualcuno più saggio di chi scrive.
Questo qualcuno insieme a tanti altri grandi della letteratura e della narrazione sapeva bene una cosa fondamentale alla base del racconto: il personaggio ha sempre un desiderio da soddisfare; se mostri una pistola quella pistola a un certo punto dovrà sparare, possibilmente al momento giusto. Se vuoi sorprendere, disgustare, provocare allora fallo fino in fondo, non arrivare a metà strada per poi fermarti.
Piuttosto che mettersi al servizio della storia sembra che l’autore abbia voluto strizzare l’occhio ad alcune minoranze che oggi sono, giustamente, oggetto di dibattito nonostante non dovrebbe più essere così.
Vucciria Teatro è sicuramente tra le realtà più interessanti nella scena teatrale contemporanea e si distingue per la sua capacità di giocare con gli estremi, ma purtroppo in questa occasione il risultato finale non è stato all’altezza di una compagnia dirompente che ha saputo far parlare di sé sempre in positivo.
Lo spettacolo è prodotto da Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini e vede alle scene e i costumi Giulio Villaggio, al disegno luci Davide Manca, la musica originale BATTUAGE è di Alberto Guarrasi, l’aiuto regia è di Nicole Calligaris e Enrico Sortino, foto di Dalila Romeo, make-up di Stefania D’Alessandro. Responsabile tecnico Martin Emanuel Palma, video & graphic designer Giuseppe Cardaci.
INFO:
Battuage
Piccolo Bellin
Via Conte di Ruvo, 14 – Napoli
Fino all’8 dicembre
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