In occasione della chiusura della mostra ab – l’Essenza dell’Assenza, dedicata a Laura de Santillana, abbiamo avuto occasione di intervistare il curatore Sabino Maria Frassà. L’artista italiana, recentemente scomparsa (Venezia, 1955-2019), discendente dalla famiglia di vetrai Venini, è nota soprattutto per le sue opere in vetro. La mostra fa parte del progetto In Material – Quando la materia si fa pensiero, realizzato in collaborazione con Cramum e ospitato all’interno del Gaggenau DesignElemnti Hub di Milano.
Com’è stato il tuo primo incontro con Laura de Santillana? Me lo immagino a Venezia, circondati da opere fragili, in una città che oggi occupa le cronache per la sua fragilità…
Ci siamo incontrati dopo alcuni mesi che ci scrivevamo. A dire il vero, oltre al fascino della persona e alle sue bellissime opere, del nostro primo incontro ricordo molto il gatto. Era un gatto “di famiglia” che si muoveva sinuoso tra le opere di Laura. Mi disse: “È un gatto Venini, l’ho ereditato da mia madre e non ha mai fatto cadere nulla”. Questo gatto era anche l’immagine del suo profilo Whatsapp. Laura per me era un’artista famosa, un genio, ma anche e soprattutto una persona carismatica. Dal punto di vista artistico mi colpirono immensamente le sue “biblioteche” o “librerie”: piccoli scaffali di legno contenenti le sue sculture di vetro schiacciate, come testimonianze di un sapere di vetro ordinatamente impilato, di cui lei poteva spiegare tutto. Avevano una dimensione sacra. Forse questa prima impressione mi è rimasta e ho sempre condiviso con Laura il fatto che trovassi nel suo lavoro qualcosa di profondamente spirituale, anche se lei amava più il termine “filosofico”.
Nella mostra “ab – l’Essenza dell’Assenza” abbiamo visto le Space Eggs, uova e cervelli di vetro, richiami immediati alla mente umana per simbologia tradizionale e affinità anatomica, ma anche metafore dell’intimo, del nascosto e del viscerale…
Verissimo, è un racconto sull’origine del pensiero, sull’ascesa dalla materia alla spiritualità. E la materia è un “groviglio”, come la chiamava Laura, che cerca di dipanarsi. Tutto questo ciclo gioca non solo sulla tensione alla trasparenza, ma anche sulla diversa matericità. Le opere tendono a diventare lisce oltre che trasparenti, ma alcune versioni di uova, cervelli e grovigli sono ruvide al tatto. Questa leggera scabrosità tende poi a scomparire verso l’uovo perfetto e trasparente che simboleggia il raggiungimento della trascendenza.
Sicuramente sei uno dei pochi, oltre all’artista, che ha avuto la fortuna di poter toccare le opere in mostra. Raccontaci le sensazioni, le emozioni che hai provato durante l’allestimento.
In realtà, sotto la mia supervisione, ho chiesto a tanti visitatori di toccarle. Questa mostra pensata con Laura, ma vissuta senza di lei, mi ha posto davanti al problema di toccare e dover spostare io le sue opere. Lei le maneggiava come fossero piume, ma il vetro è un materiale fragile e pesante. L’ho dovuto imparare e ho scoperto questa dimensione nuova ed emozionante. Nel mondo dell’arte, per ragioni di sicurezza e conservazione, il senso del tatto rimane molto trascurato e contrastato, ma era un aspetto centrale nel modo di intendere la materia di Laura de Santillana.
Il vetro è tradizionalmente legato alla laguna di Venezia, dove Laura è nata, ma alcune di queste opere nascono anche negli Stati Uniti, dove lei è artista apprezzata da anni. Come mai questo spostamento un po’ inatteso, rispetto a un materiale legato a luoghi ben noti dell’identità culturale italiana?
Soprattutto per realizzare opere di grandi dimensioni e per inseguire colori, come il verde uranio, che a Venezia non si fanno più o non si sono mai fatti. Per Laura il vetro era la materia attraverso cui esprimere sé stessa, perciò andava dove trovava la soluzione adatta ad esprimere ciò che le interessava. Molte volte cercava anche banalmente il superamento di una tecnica, per capire cosa sarebbe successo se avesse fatto ciò che non era mai stato provato con il vetro. “Giocava” con la materia e andava dove il gioco le riusciva meglio.
Nell’allestimento sei riuscito a creare sorprese curiose ed eleganti, con le uova raggruppate in una sorta di nido vitreo oppure isolate, contenitori di vuoto nel vuoto, mentre i cervelli sono stati curiosamente collocati nei forni da cucina di Gaggenau, come vetrine di un museo di storia naturale. Come hai vissuto l’essere mediatore fra l’artista e un’azienda di design?
Il ciclo di mostre “In-Material” nasce, in realtà, proprio dal lavoro di Laura. Ero così affascinato dal fatto che parlasse di immaterialità usando un materiale così pesante… e le riusciva benissimo. Quando poi ho scoperto che questi grovigli così materici e vivi non erano stati esposti nemmeno nella sua mostra americana al Museum of Glass di Tacoma, ho avuto un’illuminazione di cui Laura si è subito innamorata: questa vitalità della materia vitrea nasce dal calore: 600° C. E cosa meglio di un forno Gaggenau con placca in vetro esprime questo concetto? Abbiamo quindi ricreato e simulato la parte generativa del processo creativo di Laura de Santillana.
In mostra ci sono anche alcune fotografie inedite, intitolate Velature, rielaborazioni di uno scatto ad una sua scultura in vetro “schiacciata”. Mi sembra che l’artista abbia voluto giocare anche con la rappresentazione e col linguaggio per cercare un’essenza attraverso, però, sottrazioni di materia…
Certo. Laura era una persona di intelligenza fine e forte sarcasmo, non sempre capito. Le fotografie sembrano stampe su vetro, e molti si sono lasciati ingannare. In realtà, si tratta di stampe su acetato. Ha voluto giocare con lo stereotipo che la vedeva come “Signora del Vetro”, dimostrando al contempo cosa le interessava realmente: scavare nella materia, liberandone l’essenza. Ci ha messo sei anni e sono felice che il pubblico abbia infine capito che Laura de Santillana è sempre stata un’artista al di là, e a prescindere, dal vetro.
Due parole anche sulla passata mostra veneziana “Soffi”, inaugurata in settembre per The Venice Glass Week. All’interno del proprio studio, Laura de Santillana esponeva accanto a Franco Mazzucchelli. Il soffio è chiaramente il gesto artistico che dà vita alle opere, una materia impalpabile che rende vivi dei materiali freddi e duri…
Sì, ma anche un elemento mistico, divino. Da quando le feci conoscere il lavoro di Franco Mazzucchelli, Laura l’ha amato al punto da voler acquisire anche una sua opera. Ragionando poi insieme su questo tipo di lavoro, io e Laura siamo arrivati a concludere che non era così diverso dal suo… che entrambi plasmavano e davano forma ad una materia grezza, seppur diversa come vetro e plastica, attraverso il soffio.
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