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L’Anfitrione di Filippo Dini, al Manzoni, è la perfetta sinergia tra commedia e tragedia dei nostri tempi

Sul prestigioso palco del Teatro Manzoni fino al 17 novembre va in scena Anfitrione, una storia che arriva a noi da molto lontano, si tratta infatti della prima tragicommedia mai scritta, composta dall’autore latino Plauto in quel 206 a.C.

Da allora la storia è stata riscritta, riadattata, rivisitata in modo da, non solo evolversi con il tempo, ma per essere anche attualizza. L’Anfitrione che troviamo al Manzoni mantiene una trama classica arricchita con la modernità della nostra epoca ad opera di Sergio Pierattini, in questo modo non si denaturalizza il classico ma viene esaltato con un magistrale tocco moderno. Nella rappresentazione di Filippo Dini il tragico si unisce in modo sinergico con il comito restituendo al pubblico un mix perfetto di tragicommedia riflessiva.

Durante lo spettacolo sono svariati i momenti di grandi risate fin dalle prime battute con l’esilarante e mai scontata comicità di Giovanni Esposito seguita poco dopo dalla simpatia e bravura senza eguali di Antonio Catania, e si viene toccati fin nel profondo dal dolore e dalla frustrazione della protagonista, Barbora Bobulova.

La scena si apre in un bel giardino di una villa del modenese, con una luna piena e alta nel cielo, il colore argenteo illumina l’ampio balcone al secondo piano dalle colonne dai richiami greci.

Ed è proprio in questa serata apparentemente “normale” che arriva concitato alla casa il nostro Sosia (Giovanni Esposito), nato come servitore da Plauto e trasformato per l’occasione nel moderno portaborse di Anfitrione (Antonio Catania) diventato a sua volta un politico dilettante e populista, che, con la sua esordiente formazione politica ha appena sbaragliato gli avversari con un sorprendente e inatteso plebiscito.

Alla formazione iniziale mancano ancora le due figure fondamentali per dar inizio alle danze, gli dei, Giove e Mercurio, (Gigio Alberti e Valerio Santoro) coloro dai quali prende vita il mito della nascita di Ercole.

L’amore di Giove per la bella Alcmena (Barbora Bobulova) fa nascere gli equivoci che porteranno alla confusione più totale, dove chi dovrebbe essere forse non è e chi è forse non crede più di essere.

La confusione in questo caso nasce proprio dal furto d’identità, creata dalla personificazione divina, nessuno può nulla contro la decisione degli dei, incuranti dell’incredulità e dello scetticismo che li circonda dalla fine del mondo classico, continuano ad agire e a sconvolgere con il loro intervento, allora come oggi, gli umili e i potenti. Proprio il più scettico, borioso e arrogante, Anfitrione, viene imbrogliato dalle divinità che, pur di levarselo di torno per un po’, sicuri del suo narcisismo, gli permettono di vincere le elezioni e diventare il Presidente de Consiglio. Questo lo tiene lontano il tempo perfetto per mettere in atto lo scompiglio, creare confusione destinata a scoppiare in tragedia.

Anfitrione non riesce a sbrogliare l’impiccio per via della sua scarsa intelligenza e la frustrazione lo porta a essere intollerante volgare e arrogante, nello stesso tempo la stessa Alcmena, vittima dell’inganno crede di essere pazza, vede chiaramente lo sdoppiamento di Anfitrione, chi è quell’uomo gentile, attendo, premuroso che appare e scompare a distanza di breve tempo? Poco a poco riacquista lucidità e questa la porta in uno stato di grande dolore e disperazione per l’inganno subito.

La metamorfosi investe anche i personaggi che appartengono alla scala sociale inferiore. Il modesto Sosia, ha il suo alter ego in un Mercurio diabolico e sfrontato, e sua moglie Bromia (Valeria Angelozzi), si trova alle prese con i suoi due “mariti” Sosia e Mercurio, e la sua preferenza verso il secondo è scontata.

L’altalenarsi tra verità e inganno, intesi e malintesi, genera situazioni comiche, bizzarre e spiazzanti che fanno da specchio alle sempre più grottesche e disorientanti vicende del nostro presente. Così la comicità e la riflessione si uniscono in un dialogo che parla anche a noi spettatori, al nostro doppio, quella zona remota e temibile del nostro essere, quel dio appunto, che tutto può, che tutto vede e domina, a nostra insaputa.

INFO:
Teatro Manzoni
Via Manzoni, 42 – Milano

fino al 17 novembre

ORARI: feriali ore 20,45 – domenica ore 15,30

BIGLIETTI: Poltronissima Prestige € 35,00 – Poltronissima € 32,00 – Poltrona € 23,00 Poltronissima under 26 € 15,50

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