Mario Martone torna alla Mostra del Cinema di Venezia con un film che ha le sue radici nella grande opera di Eduardo De Filippo, Il sindaco del Rione Sanità.
Due nomi, Martone e De Filippo, una garanzia per un testo che racconta del classico guappo di quartiere, quello di un tempo, quello che faceva i favori alla gente e teneva in ordine il quartiere: l’antesignano del moderno boss camorrista.
La sceneggiatura prende le mosse dalla stessa pièce teatrale, scritta da Eduardo De Filippo nel 1960 e andata in scena per la prima volta lo stesso anno.
In questo caso il cambiamento sostanziale nel film di Martone è il periodo storico. Il regista, infatti, ha spostato l’azione ai giorni nostri in una Napoli moderna ma che conserva ancora qualcosa di classico, come se il tempo non fosse mai passato. Ciò a dimostrazione del fatto che i testi di Eduardo sono sempre stati attuali, hanno vita eterna. Quelli che erano i problemi di un tempo sono gli stessi che affliggono oggi l’uomo comune e pacifico che vuol starsene a casa propria eppure la vita gli viene a bussare.
Martone aveva già preso la regia di questo testo proprio per il teatro e questa volta lo ha trasposto per il Cinema. Si sente infatti una certa teatralità del testo in alcune battute e questo in alcuni punti stona un po’ dando l’impressione di essere appunto a teatro. Si parla di pochissimi momenti nella parte iniziale che nulla tolgono allo splendore dell’opera e al magistrale lavoro di regia fatto da Martone.
Il protagonista è Antonio Barracano (Francesco Di Leva), “uomo d’onore” che governa il quartiere e risponde a un proprio codice etico basato su una “saggia” amministrazione della violenza. Ma la sua è la giustizia di un boss, impartita con il rispetto indotto dalla paura. Al suo fianco opera Fabio Della Ragione (Roberto de Francesco), personaggio complementare e medico connivente incaricato di (ri)parare gli urti di quell’aberrante morale. Nel giorno in cui si svolge la vicenda il destino di Barracano si incrocia con quello di un avido panettiere, Arturo Santaniello che ha cacciato di casa il figlio e lo ha diseredato. Santaniello dimostrerà di essere più guappo dello stesso Barracano.
Tra le differenze fra i due testi, oltre il periodo storico si riscontra anche la giovane età del guappo nella versione di Martone. In quella di De Filippo si trattava di un uomo d’età che ne aveva passate tante. L’interpretazione di Francesco Di Leva (appena quarantenne) e l’atteggiamento che assume nel parlare e nel muoversi vanno a invecchiare il suo personaggio. L’attore gli dà più anni e più saggezza di quanta ne dovrebbe avere, probabilmente influenzato dal personaggio originale. Questa cosa stona un po’ forse perché da questo punto di vista la presenza del testo di origine si fa sentire con tutta la sua imponenza.
Il lavoro di Martone dunque è rimasto fedele all’opera originale sapendo restituire Eduardo sul grande schermo.
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