Mare Anarchico – Trilogia della nuda vita. II Atto: De – Siderale
Lo scorso 8 giugno nell’ambito della rassegna H-Abiti. Pratiche per un teatro indipendente organizzata dall’Ex Asilo Filangieri di Napoli è andato in scena Mare Anarchico – Trilogia della nuda vita. II Atto: De – Siderale. Un lavoro di ricerca permanente in coproduzione con lo stesso Asilo il cui percorso è iniziato tre anni fa con una prima fase di ricerca teatrale ospitata da Asylum AnTeatro ai Vergini e Scugnizzo Liberato di Napoli.
L’autore del testo e regista, Giuseppe Maria Martino, si è avvalso nel corso di questi anni di diversi collaboratori. Il lavoro ha visto momenti di ricerca in sala e aperture al pubblico fino alla ricerca di 12 mesi presso il Teatro Studio Uno di Roma a seguito della vittoria del bando di Ricerca permanente e ha visto la seguente formazione: forma di vita (regia) Giuseppe Maria Martino, corpo pubblico (attrice protagonista) Lauraluna Fanina, materia e ambiente (scene e luci) Carmine De Mizio.
Armando Francesco Serrano ha raccontato per immagini questa esperienza fin dal suo inizio.
La messa in scena legata alla rassegna H-Abiti in collaborazione con il festival Bassai Dai ha visto anche il coinvolgimento del drammaturgo e autore Dario Postiglione come supervisore alla drammaturgia. In questa occasione lo studio è stato aperto per la prima volta al pubblico e non a caso nell’ambito di un evento (Bassai Dai) al quale il gruppo è politicamente vicino.
De-Siderale prende spunto da un tragico evento occorso nel febbraio del 2017: un giovane friulano, Michele, si uccide a trent’anni, lasciando una lettera letta come l’atto d’accusa di una generazione contro una “realtà sbagliata”, da cui “non si può pretendere niente”. Il suicidio è rivendicato come un atto di libertà, e dunque un atto politico: “il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare”.
Questo il punto di partenza per raccontare sul piano superficiale della messa in scena il punto di vista di una madre che ripercorre ritualmente la vita di suo figlio Michele, morto suicida a soli trent’anni. Intorno alla vicenda gravitano una serie di personaggi vicini, conoscenti, giornalisti, psicologi da talk show. Ognuno di loro è diversamente coinvolto o interpellato a dire la sua fino al momento del funerale. Ciascun personaggio è interpretato dalla sola Lauraluna Fanina che ora con un cambio di voce, ora indossando un pastrano, ora con una parrucca o un cappello prova a raccontare il movimento (caos) provocato dalla morte di un solo ragazzo nella vita di tutti i giorni, morte che è di fatto assenza di movimento.
Non è semplice parlare di Mare Anarchico, molti sono i temi in ballo e molte sono le riflessioni che si possono fare rispetto a un testo come questo che si pone l’obiettivo di indagare soprattutto il gesto politico del suicidio rispetto a una generazione, quella dei trentenni, che sembra essere privata di tutto e che si avvia verso un futuro arido e brutale che il nostro Michele non ha voluto vedere.
Si è trattato di una messa in scena frammentata fatta di pezzi non ben legati tra loro. Nella prima parte dello spettacolo ci viene subito offerta l’immagine della madre che culla un pastrano come fosse un neonato restituendoci la Pietà. Si passa velocemente ad un’altra situazione in cui l’attrice, al buio, punta una torcia (alquanto fastidiosa) negli occhi dello spettatore; ne sentiamo la voce che fa un elenco di oggetti e capiamo di trovarci nella stanza di Michele. Si prosegue così con diverse situazioni, dai programmi televisivi, ad alcuni momenti in cui lei indossa il pastrano e interpreta lo stesso Michele nei suoi ultimi momenti, alle incursioni della voce registrata della protagonista, riflessioni non necessarie che in qualche modo vogliono essere una spiegazione a quanto stiamo vedendo.
La prima parte della messa in scena sembra più casuale meno chiara e forse meno fissata rispetto alla seconda che invece risulta decisamente più comprensibile anche rispetto all’essenza del termine de-siderale del titolo e che fa riferimento al nostro continuo desiderare in quanto esseri umani. Desiderare sempre ciò che non abbiamo e quando lo otteniamo desiderare ancora in una costante ricerca di qualcosa e una continua incompiutezza. Questa la spiegazione che ci viene fornita da una caricatura di Massimo Recalcati verosimile ma allo stesso tempo grottesca.
Nel complesso ho trovato il lavoro molto impreciso e sfuggente, con diverse imprecisioni anche da parte dell’interprete che in alcuni momenti ha tradito la sua emozione.
Nelle settimane precedenti all’evento ho avuto la possibilità di vedere una prova filata del lavoro e vi ho riscontrato più rigore avendo l’impressione che tutto fosse fissato meglio.
Il merito di Lauraluna Fanina è senz’altro quello di saper fare tanti cambi di voce e di espressività che però sarebbe bello vedere nell’approfondimento di un solo personaggio piuttosto che in un insieme di molti che finiscono per restare in superficie.
Si tratta come ho detto di un lavoro che ha in sé degli spunti fondamentali ma al momento soffocati, non approfonditi abbastanza.
Questa frammentazione esasperata non permette un’immersione nella vicenda e i momenti di commozione arrivano solo alla fine e per poco. Le immagini visive e i giochi di luce e ombra alla Rembrandt che caratterizzano il percorso dell’attrice danno un’impressione di tableaux vivants piuttosto che di percorso narrativo lineare.
Al centro della scena troneggia un’impalcatura di legno che simula il pontile su cui il nostro Michele (Lauraluna) sembra assorto nel suo mondo. Il suono del mare completa alcuni momenti della messa in scena dando l’impressione sonora di costituire un sottofondo costante, anche quando in effetti non è presente. Pochi altri elementi di scena caratterizzano il contesto in cui si muove l’attrice restituendo un’essenzialità voluta e sicuramente descrittiva del senso di vuoto che si prova riflettendo su un tema così importante.
Il lavoro e le risorse usati per questo progetto devono essere necessariamente incanalati in un prodotto finale che forse dovrebbe lavorare sul togliere (a cominciare dalla voce registrata e dalla torcia) alcuni frammenti che non fanno scorrere la narrazione e aggiungere interpreti che possano dare il giusto tempo e il giusto sviluppo a ciascun personaggio.