Asterione. Dal mito del Minotauro per una riflessione su identità, vita e morte
Il teatro è vita, la vita è un palcoscenico e, come diceva Shakespeare, tutti noi siamo attori.
Questo vuol dire che a ciascuno è in qualche modo assegnato un ruolo specifico, un ruolo nel quale si identifica.
Tutti noi nel corso della nostra esistenza ci domandiamo “chi sono?” ed è importante saperlo poiché perdere ciò che siamo o non capirlo mai sono alla base delle più grandi crisi esistenziali che colpiscono l’individuo.
Ma cosa accade quando la vita finisce? Si viene chiamati ad abbandonare il bagaglio di ricordi, emozioni e sofferenze di cui si è fatto esperienza per entrare in una nuova condizione che prevede innanzitutto l’abbandono del corpo fisico e con esso tutti i segni che si porta dietro.
Questa indagine sui modi in cui l’uomo costruisce la propria identità è alla base di Asterione, spettacolo teatrale scritto e diretto da Daniele Sannino che vede come protagonista Asterione appunto, il Minotauro.
Il testo è interpretato da Francesco Roccasecca, Vincenzo Esposito, Raimonda Maraviglia e Manuel Severino.
Asterione, Minotauro del mito greco, si ritrova dopo la sua morte in un night club surreale, generato da tre spiriti psicopompi che di mestiere “raffinano” le anime. Il night ha funzione di limbo tra un’esistenza e l’altra, non luogo dove le anime dei morti depositano raccontandole le loro storie per poterle dimenticare, e dimenticandole ottenere la leggerezza necessaria a passare ad un’altra vita. Asterione, mezzo uomo e mezzo toro, profondamente legato alla sua natura di diversità deforme, si dichiara impossibilitato a questa dimenticanza e dunque al prosieguo del viaggio. I tre spiriti allora, mascherandosi con i travestimenti della vita e giocando il gioco della guerra, degli affetti e delle passioni, cercheranno di sciogliere il nodo che tiene legato Asterione alla sua storia.
La scena si apre con l’ingresso di tre personaggi che sembrano usciti da un film anni quaranta, con un abbigliamento che oggi potremmo definire vintage. Ciò immerge lo spettatore immediatamente in un’atmosfera onirica e senza tempo dove i personaggi senza nome e senza identità ogni giorno fanno il gioco delle parti. “Stasera facciamo il night club” dice uno uno dei tre agli altri. Così i personaggi – attori sistemano la scena a vista e subito ci troviamo un un bar.
Asterione arriva così in questo night club improvvisato, in abito elegante portando con sé una valigia, arrivato forse da un lungo viaggio.
Inizia una conversazione con il barista, il cameriere e la canatante del night. Ciascuno racconta la propria storia, dando modo al protagonista di raccontare la sua e ben presto comprendiamo di trovarci in un luogo di mezzo tra il mondo reale e l’aldilà; Una sorta di purgatorio nel quale è necessario lasciare il bagaglio della vita e accedere all’aldilà in una condizione nuova, spogli di tutto ciò che si è stati.
Asterione ci racconta di come è morto e di come passava le sue giornate nel labirinto aspettando l’arrivo di Teseo, l’unico uomo che riesce ad ucciderlo. Egli non vuole lasciare la vita né il ricordo di ciò che è stato ma, soprattutto, si interroga su ciò che avrebbe potuto essere la sua esistenza se le cose fossero andate diversamente. Molti sono i suoi desideri e molte le speranze disattese, come spesso accade a ciascuno di noi nel corso di una vita intera.
La prima cosa che si pensa dopo la visione di Asterione è che sicuramente l’autore sa raccontare una storia ma soprattutto sa risvegliare nell’inconscio dello spettatore emozioni concilianti. Si tratta del classico caso in cui ci si diverte e allo stesso tempo si riflette riconoscendosi in una situazione.
Della messa in scena si nota un’approssimazione nella scenografia, alcune imprecisioni nei dettagli che hanno dato in generale un senso di incompiutezza forse dovuta ad una fase di ricerca in corso per quanto riguarda gli oggetti di scena.
Gli interpreti, a cominciare da Francesco Roccasecca (Asterione), sono stati rigorosi nell’esecuzione riuscendo a raccontare ciascun personaggio in modo completo, dalla personalità alla gestualità fin nei più piccoli dettagli.
Nessuno ha prevalso sull’altro ma si percepivano armonia ed equilibrio fra di loro.
Vincenzo Esposito interpreta il personaggio del cameriere ma anche colui che da inizio ai giochi, ha un passo zoppicante, luciferino, che forse fa esplicito riferimento al signore dell’aldilà o forse connota meglio il personaggio. Le sue variazioni di tono e intenzioni dal serio al faceto passando per il comico hanno dato ritmo e dinamismo allo spettacolo. È stato il collante dello spettacolo.
Roccasecca ha saputo simulare per bene le movenze animalesche dell’essere mitologico mezzo uomo e mezzo toro e nonostante la maschera da toro che indossava gli coprisse metà del volto la sua espressività era forte e incisiva.
Una sua qualità sta anche nel saper fare la controscena agli altri quando non ha battute senza mai uscire dal ruolo.
Manuel Severino con la sua interpretazione minimalista dal bancone del bar è riuscito a raccontare un personaggio assai ambiguo e fuori dai soliti stereotipi del barista. Qualcuno di più simile ai personaggi che Jack Torrence incontra nell’Overlook Hotel di Shining.
Raimonda Maraviglia ha raccontato il classico personaggio della cantante da piano bar ricordando anche le protagoniste dei film western. La sua, rispetto alle parti maschili, è stata forse la performance meno interessante, sembra che prima di tutto sulla carta sia stata la meno approfondita. Restano femminilità e carisma ben equilibrati in un contesto prevalentemente maschile dove le incursioni canore hanno dato all’atmosfera un gusto romantico.
Questo lavoro è sicuramente un esempio di drammaturgia giovane che sa attingere dai grandi testi per raccontare temi importanti e contemporanei riuscendo a intrattenere una platea variegata fatta non solo delle solite “signore in pelliccia” che affollano i teatri ma anche un pubblico giovane che si diverte e viene chiamato a riflettere con gli autori.
L’ex Asilo Filangieri di Napoli ha ospitato lo spettacolo all’interno della rassegna H-Abiti pratiche per un teatro indipendente dopo che l’anno scorso era già stato a Pompei all’ArcheoTeatro, dandoci la possibilità di conoscere un autore interessante che molte cose avrà da raccontarci e apprezzare l’ottimo lavoro di interpreti che per quanto giovani lasciano intravedere un futuro ricco in cui potremo ancora apprezzarli e vederli crescere sempre di più.