La tradizione delle Sibille. Un incontro a Roma, a ingresso libero, per tracciarne la storia
Nel mondo antico sono noti indovini, pitonesse o profeti che pronunciavano oracoli o predizioni a nome di molte divinità e la Pizia delfica ne rappresenta forse il caso più noto. Prima degli oracoli si credeva fossero esistite alcune speciali interpreti della parola divina – esclusivamente di sesso femminile, vergini (una verginità intesa anche in senso simbolico come intoccabilità dal mondo) e non soggette al passare del tempo – le quali, essendo poco inclini a mostrarsi ai questuanti, vivevano isolate dal mondo, in grotte o nei pressi di corsi d’acqua dove pronunciavano i loro vaticini in un’inconsapevole frenesia e sotto forma di esametri greci: erano le cosiddette Sibille.
Non è facile tracciare un profilo completo di queste figure e lo stesso significato della parola “sibilla” rimane ancora non chiaro o incerto. Secondo alcuni studiosi essa potrebbe avere il significato di “vergine nera”, cioè la vergine (anche come figura della divinità) che opera in un luogo nascosto, non conosciuto, segreto (nero), oscuro come il messaggio della divinità che viene decifrato solo da chi lo riceve, o come l’antro (nero) nel quale la tradizione colloca questi personaggi quando pronunciano i loro “vaticini”.
Nella mitologia greca e romana, sibilla era una qualsiasi donna dotata di poteri divinatori ricevuti in dono dal dio Apollo e sembra che proprio una Sibilla, probabilmente Erofile di Eritre, avesse predetto la guerra di Troia. Se ne indicava l’antica residenza in luoghi remoti, sparsi fra l’Asia Minore, l’Africa e le coste occidentali del Mediterraneo. Varrone ne elencò dieci: la persiana, l’eritrea (da Eritre, in Lidia), l’ellespontia, la frigia, la cimmeria, la Ubica, la delfica, la samia, la cumana e la tìburtina. Una voce popolare riteneva che si trattasse in realtà di un’unica Sibilla, immortale, in grado di spostarsi in luoghi diversi ove ce ne fosse bisogno.
Nel mondo ebraico si ebbero le profetesse interpellate dai sacerdoti. Fra queste sono rimaste celebri Debora e Holda. Al tempo del re Iosia [ndr. nel 638-609 a.C.] Holda fu consultata da una commissione di sacerdoti per il ritrovamento della “Legge del Signore” nel Tempio [ndr. in caso di invasioni venivano fatte diverse copie, alcune false, della Torah, e sepolte o nascoste per impedirne la profanazione]. Questa commissione andò da Holda per sentire il responso di Dio. La profetessa confermò l’autenticità del testo ritrovato. Predisse un’adeguata ricompensa per lo zelo riformatore del re Iosia e gravi minacce a chi non lo avesse osservato. L’episodio fu decisivo per la religione ebraica. Avvenne nel 621 a.C., 18 di Iosia. (Tommaso Palamidessi, Secondo Quaderno di Archeosofia).
Di sibille, pizie e profetesse si parlerà questo mercoledì 8 con la d.ssa Emanuela Passarelli, presso la sede dell’Associazione Archeosofica di Roma in Piazza Ungheria 6, interno 3.