Alla Galleria Ponte Rosso in Brera inaugura la personale di Paolo Paradiso “Homeward Bound”
Sabato 4 maggio alle ore 18 presso la Galleria Ponte Rosso in via Brera 2 a Milano, inaugura la mostra personale di Paolo Paradiso Homeward Bound.
Perché Homeward Bound? Il titolo racconta del ritorno dell’artista alla Galleria dopo la precedente mostra presentata nel 2018 dedicata interamente a Venezia “Un anno a Venezia”, adesso tornato per raccontare, attraverso le straodinarie immagini, il suo tema preferito di sempre: l’America degli anni ‘50/’60 e in particolare alla “sua” città, New York. In questa nuova mostra l’artista presenta oltre venticinque dipinti di grande formato, tutti inediti, realizzati nel 2018/2019.
“Ammalarsi di America. Per comprendere i sentimenti di Paolo Paradiso nei confronti degli Stati Uniti, tra amore e ammirazione, tra realtà e sogno, le parole di Mario Soldati in “America primo amore” appaiono illuminanti.” Racconta Andrea Bosco. “Scrive Soldati: “L’America non è soltanto una parte del mondo. L’America è uno stato d’animo, una passione. E qualunque europeo può, da un momento all’altro, ammalarsi di America”.
L’America di Paolo Paradiso è quella degli Anni Cinquanta che, spiega l’artista, “durarono troppo poco”, è l’America che coincide con New York, con le grandi strade e i grandi grattacieli, con Central Park, è la New York che espone a Broadway la pubblicità luminosa delle sue pieces teatrali e dei suoi film. È l’America del Village e di Washington Square luogo immortalato dal banjo dixie dei “The Village Stompers”.
L’America che Paradiso ama è quella delle Buick Special e delle Chevrolet Bel Air dalle scintillanti lamiere e dai paraurti cromati e non importa che Mignon Mc Laughlin abbia scritto che “un’auto è inutile a New York”, la Mela ha i suoi riti e le automobili sono al vertice della ritualità, a cominciare da quegli yellow cab entrati prepotentemente, assieme alle auto della Polizia, nelle pagine della letteratura. Quella di Salinger, con il suo maldestro Holden, quella di Truman Capote con la sua inarrivabile Holly Golightly che avrebbe dovuto essere Marylin, ma che per fortuna fu Audrey. “Colazione da Tiffany”: etichetta di un mondo destinato a diventare mito.
Le agenzie pubblicitarie ti potevano convincere che la Pan Am fosse la migliore compagnia aerea del mondo mentre Hollywood ti spiegava che i “nostri” erano sempre e solo i buoni e che lo stile di vita americano, con le sue fantastiche cucine, i suoi elettro-domestici d’avanguardia, i suoi primi televisori, era anche l’unico meritevole di essere inseguito.
Era tutto bello? No, Sinatra, Dean Martin e gli altri del Rat Pack di Las Vegas fecero l’inferno quando scoprirono che gli artisti di colore dovevano entrare in scena passando dalle cucine. Che se eri nero, dovevi dormire alla periferia della città, stante il divieto di alloggiare negli hotel-casino del centro.
C’era il razzismo in quella America e c’era il terrore della “bomba”, c’era la “caccia alle streghe”: con artisti e letterati epurati perché in odore di comunismo.
La New York di Paolo Paradiso visita luoghi reali ampiamente modificati dalle esigenze pittoriche dell’artista. È la “sua” atmosfera americana: foto-realistica. Benché meno dettagliata rispetto alle precedenti produzioni.
Una assunzione di matericità che rappresenta la sintesi del suo lungo percorso emotivo. La luce e le ombre, i riflessi, la pioggia e un pathos rarefatto, quasi antitetico, al monumentalismo dei grattacieli. Gli uomini camminano senza volto accanto alle automobili: prodigi di un design che interpretava il benessere americano.
Paolo Paradiso Homeward Bound
Galleria Ponte Rosso
Via Brera, 2 Milano
Tel. 02-86461053