Al Teatro Area Nord in scena Ranavuottoli (Sorellastre). Chi sono le sorellastre di Cenerentola?
Domenica 7 aprile in un teatro situato nella periferia di Napoli, Scampia, nota soprattutto per note dolenti e serie televisive sulla camorra molto seguite, ma capace di raccontare anche storie belle come quella del TAN (Teatro Area Nord) dove è andato in scena Ranavuottoli, commedia tragicomica e grottesca scritta da Roberto Russo e Biagio Musella per la regia di Lello Serao.
Ranavuottoli è l’altra faccia della medaglia, è la storia di Cenerentola raccontata dal punto di vista delle due sorellastre, Anastasia e Genoveffa. È la fiaba dal punto di vista dei vinti.
Gli autori hanno voluto raccontare al pubblico la vita quotidiana delle sorellastre più famose nella storia delle fiabe, mostrandole in tutta la loro bruttezza, sia interiore che esteriore. Nel racconto non c’è giudizio da parte degli autori e la messa in scena si presenta piuttosto come una commedia pronta a farci ridere ma, allo stesso tempo, a mostrarci il lato amaro della vita. Si prende spunto dalla realtà capovolta di Echer di cui si riconosce un’opera sul fondo della scena.
Tutto si svolge in un piccolo appartamento che sembra composto da scatole cinesi e ricorda molto i luoghi labirintici del paese delle meraviglie in cui si perdeva Alice.
Sul proscenio un velatino ci mostra attraverso delle proiezioni quelli che saranno i personaggi secondari della vicenda: il ciambellano interpretato da Niko Mucci, il principe azzurro interpretato da Sergio Assisi, lo specchio (ripreso da Biancaneve) interpretato da Giovanni Esposito.
Si tratta di un missaggio di elementi fiabeschi a noi molto noti che vengono qui messi al servizio di Genoveffa, interpretata da Nunzia Schiano e Anastasia, interpretata dallo stesso Musella che passano il loro tempo, la prima a cucinare improbabili pietanze nascondendosi dal mondo, la seconda a fantasticare l’arrivo del principe azzurro e adescare tutti gli idraulici della zona, ogni volta con una scusa diversa.
Gli sketch comici con l’idraulico di turno, qui interpretato sempre da Vincenzo Esposito ogni volta con un accento diverso, regalano momenti di efficace comicità che riescono a stemperare la tensione e quel presagio di fallimento che aleggia nella storia dall’inizio alla fine. Ci si aspetta che capiti il peggio e in effetti il peggio capita, tutto si svolge come da copione della fiaba originaria ma con l’aggiunta questa volta di un macabro racconto sul rapporto padre/figlie.
Tuttavia non vi è giudizio da parte degli autori e del regista, bensì una ricerca di quelle che sono le cause dell’abbrutimento dei due personaggi. Se ne svelano così le ferite e le fragilità e quelli che sono stati gli avvenimenti che hanno condotto le due alla cattiveria.
Ranavuottoli è certamente uno spettacolo gradevole messo in scena da professionisti che sanno fare teatro ma, la scelta di proiettare sul velatino le incursioni di alcuni personaggi a completare la messa in scena, resterà sempre qualcosa di fastidioso allo sguardo e difficile da accettare.
Sarebbe preferibile piuttosto l’uso della parola per raccontare quanto accade fuori scena o riportare le parole di questo o quell’altro personaggio. Per esempio risulta più giusto, dal momento che le protagoniste sono le due sorellastre, non far mai comparire Cenerentola che così viene mitizzata quale figura minacciosa nei confronti delle due racchie che le parlano attraverso la grata della cantina.
La scelta della musica da discoteca nella scena che fa riferimento al ballo e l’incursione di Anastasia (Musella), per la platea sono stati due momenti comici volti a “svegliare” il pubblico, di cui forse si poteva fare a meno.
In generale il testo di Musella e Russo ricorda molto le fiabe di Basile e forse cerca di imitarne lo stile. Non si può fare a meno di creare collegamenti con la storia della Scorticata che parte da un assunto molto simile.
Ciò che se ne ricava e un gusto molto amaro che vuole porre l’attenzione sulla fortuna e la sfortuna di nascere belle o brutte e in base a ciò essere condizionate nella propria esistenza. Vuole farci riflettere sul male che può scaturire dalla mortificazione di essere rifiutati e disprezzati e ci racconta il male, quello vero, che può derivare solo dal desiderio di amore inesausto.