Il più famoso street artist al mondo, Banksy, ha denunciato la mostra A Visual Protest al Mudec di Milano, il motivo è la violazione del copyright e vendita non autorizzata del merchandising.
Fino a qui tutto potrebbe avere un senso, se pensiamo che la mostra non è autorizzata direttamente dall’artista e si snoda tra originali e riproduzioni all’interno di un percorso che termina con un ben fornito Gift Shop dove sono venduti moltissimi articoli come penne, tazze, calamite, segnalibri e il catalogo della mostra, tutto questo utilizzando il nome e l’immagine di Banksy senza la sua autorizzazione.
Banksy, l’artista, non ha preso bene la questione e ha portato davanti al giudice dalla Pest Control Office Limited la situazione citando 24 Ore Cultura, società che ha organizzato la mostra.
Non fa una piega, utilizzare la produzione creativa di qualcuno senza la sua approvazione per scopi commerciali è sbagliato e punibile con la legge, a tutela di questo, infatti, esiste il copyright.
Ma qui sorge la domanda: stiamo parlando di Banksy l’artista che sta facendo una fortuna con la sua arte? Oppure di Banksy lo street artist che di punto in bianco vuole applicare la legge? E lo fa su una forma d’arte controversa e, per sua natura molto spesso illegale?
Dulcis in fundo, non è lo stesso Banksy ad aver dichiarato: “Copyright is for losers”…?
Da qui in poi la piega della questione prende uno strano verso, perché è vero che Banksy è un marchio registrato, però è anche vero che in tutte le cose ci vuole coerenza.
Se lo stesso artista ha dichiarato, più di una volta, di volersi allontanare dal mondo del mercato dell’arte e della pubblicità: “Marchi di fabbrica, proprietà intellettuali e diritti d’autore fanno in modo che i pubblicitari possano dire ciò che vogliono, dove vogliono, con totale impunità” e ha anche aggiunto: “Non possiamo fare nulla per cambiare il mondo fino a quando il capitalismo non si sgretolerà. Nel frattempo dovremmo tutti andare a fare shopping per consolarci.”
Allora, forse, denunciare la mostra del MUDEC potrebbe sembrare un’azione ipocrita: l’artista che non si mostra, che non vuole la fama e la gloria, che disprezza il mercato dell’arte e che crede fermamente nella libertà di esprimersi, denuncia la mostra perché utilizza il suo nome senza il suo consenso.
Banksy ha sempre fatto della libertà il suo cavallo di battaglia, artista misterioso che sceglie i muri della città come tele in segno di arte fruibile gratuitamente a tutti e lo fa nascondendo la sua identità proprio per evitare problemi legali, però appena gli viene toccato il nome, va su tutte le furie perché a lui non arrivano i soldi e quindi chiama in causa proprio la legge.
Possibile che sia così attaccato al denaro dopo tutte le belle parole spese sulla liberà di espressione e la liberà di esprimere la propria arte? O forse si tratta di un’altra strategia di marketing ben architettata?
Oppure non ha mai voluto che la sua arte, dalla strada passasse alle gallerie, alle mostre e agli eventi? Ma in questo caso scatta un’altra contraddizione, perché di mostre Banksy ne ha fatte in passato, ha già fatto il salto dalla strada al museo.
Quindi, la denuncia parte dal fatto che non è stata autorizzata la mostra al MUDEC?
Allora sorge un altro dubbio: proprio Banksy, l’artista che ha sempre fatto della sua arte una protesta, utilizzando immagini della Regina d’Inghilterra, di McDonald’s, Walt Disney, Gesù, che prendo in giro le multinazionali e i potenti in barba alle leggi senza mai chiedere il permesso per riprodurre queste immagini, un gioco pericoloso che l’ha “costretto” all’anonimato, proprio lui denuncia per utilizzo di immagine?
Facciamo un passo indietro, nell’ottobre del 2018 era stata inaugurata un’altra mostra su Banksy a Firenze allestita negli spazi di Palazzo Medici Riccardi, in quel caso non era scattata nessuna denuncia, perché?
La risposta la troviamo proprio nel titolo del primo film girato dall’artista: Exit Through the Gift Shop. Gli organizzatori della mostra di Firenze non hanno prodotto merchandising e non hanno editato un catalogo della mostra, a differenza dell’esposizione del MUDEC.
La scintilla che ha scatenato tutto sembra essere proprio l’intento, da parte degli organizzatori della mostra, di rendere l’arte di Banksy commerciale. Di ingabbiarla in quei meccanismi che l’artista ha sempre odiato e continua a odiare.
Questo ha senso, ma allora perché denunciare la mostra al MUDEC anche per l’utilizzo del proprio nome sui manifesti pubblicitari? Perché denunciare questo catalogo e non tutte le altre pubblicazioni sul suo conto?
Forse Banksy ha capito che non è più un ragazzino di strada contro tutto e tutti ma si è ritrovato, per la prima volta, dall’altra parte del gioco, da street artist di nicchia a vera e propria icona e, pertanto, desiderata da tutti quindi, non gli sta più bene dare tutto in pasto al commercio?
Stiamo assistendo alla “metamorfosi” del misterioso dell’artista di Bristol stufo di vedere le sue opere usate senza permesso da chi vuole trarne profitto senza restituire nulla?
Fatto sta che in questo caso non gli è andata molto bene perché la questione si è risolta così: il Giudice della causa ha rigettato tutte le domande cautelari formulate da Pest Control Limited, ad eccezione di quella (inibitoria) concernente un ridotto numero di articoli di merchandising.
In particolare, il Giudice Delegato ha rigettato le domande di Pest Control concernenti l’inibitoria e il sequestro del materiale di comunicazione recante il marchio “BANKSY” e i marchi raffiguranti le opere “bambina con il palloncino” e “lanciatore di fiori” (quindi anche il titolo stesso della mostra); rigettato le domande di sequestro e inibitoria concernenti il catalogo della mostra; rigettato le ulteriori domande di sequestro dei prodotti e della documentazione contabile e commerciale relativa a questi ultimi; ACCOLTO la domanda inibitoria di 5 articoli di merchandising (1 agendina, 1 segnalibro, due cartoline e 1 gomma da cancellare).
Direi magra consolazione, oppure grandissima ennesima performance attira pubblico. In un caso o nell’altro Banksy ha fatto di nuovo parlare di se prendendosi tutte le prime pagine.
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