Serie TV

Rapita alla luce del sole è il true crime di Netfix che vi farà uscire di testa per giorni

Ieri sera, presa da una curiosità spasmodica per il caso Robert Berchtold e la piccola Jan ho deciso di guardare, in compagnia di un nutrito pubblico (eravamo in cinque): Rapita alla luce del sole, uno degli ultimi documentari aggiunti al catalogo di Netflix.

Dopo soli 20 minuti dall’inizio ho dovuto mettere in pausa con la necessità di interfacciarmi con gli altri spettatori per chiedere: “Fermi tutti! Ma che ca**o stiamo guardando?”.
Scusate la delicatezza dei termini, non fa assolutamente parte del mio registro stilistico, ma fidatevi che è l’unico modo per descrivere l’assurdità di quanto accaduto… e siamo solo all’inizio.

In 90 minuti di pellicola è tutto un crescendo di incredulità, fastidio e frustrazione che sfocia in un continuo porsi domande, soprattutto una volta terminata l’agonia della visione, domande che restano senza risposta e che sfiorano il surreale.

La storia in realtà potrebbe sembrare un caso come tanti di rapimento di minore e pedofilia, che è già abbastanza per esserne disgustati. Ma ogni minuto che passa ci si rende conto che e molto ma molto più incredibile perché entrano in gioco gli alieni, uno psicoterapeuta fasullo, i mormoni, i tradimenti, presunte omosessualità e sopra ogni cosa l’egoismo.

Non voglio spoilerare nulla, anche volendo, qualsiasi cosa possa dire non sarà mai paragonabile alla follia di vederlo con i propri occhi, però giusto per darvi un’infarinatura vi racconto la trama.

La vicenda ha inizio negli anni ’70 in Idaho, Stati Uniti. Robert Brechtold, avvenente quarantenne con moglie e figli, si trasferisce nella cittadina di Pocatello, nei pressi della casa dei Broberg, una famiglia apparentemente come tante, mamma, papà e tre sorelle.

Nel tempo i Brechtold e i Broberg instaurano un fortissimo rapporto d’amicizia, ma già dalle prime battute, anche per lo spettatore meno attento, tutto sembra torbido, un’amicizia che dall’esterno è palese voglia portare a una sola cosa: il signor Brechtold sta puntando senza mezze misure la figlia più grande dei Broberg, la 12enne Jan.

Con un’abilissima e altrettanto banale mossa di manipolazione Robert Brechtold riesce a rendere succubi a lui i coniugi Broberg per poter passare più tempo possibile con la ragazzina. Che fossero i genitori i primi a subire il fascino di Robert tanto da non accorgersi o non interessarsi abbastanza delle conseguenze?

Da qui tutto diventa assurdo, talmente assurdo che smette di essere plausibile e razionale, da spettatore incominci a inveire contro la televisione perché vorresti prendere pedofilo e genitori della vittima a ceffoni. Se all’inizio pensi alla povera Jan, a quello che ha dovuto subire e alla disperazione che deve aver provato la famiglia, a neanche metà del film inizi a perdere empatia per tutti, continui a detestare il rapitore ma inizi a dubitare della stessa famiglia che dice di amare la piccola e di voler fare di tutto per lei, quando in realtà sembra proprio che l’unica cosa di cui gli interessa veramente è la loro reputazione.

Guardare “Rapita alla luce del sole” riesce a farti mettere in dubbio le persone, anche quelle a te più care e che giurano di proteggerti sopra ogni cosa perché possono diventare “involontariamente” o “ingenuamente” i tuoi aguzzini?

Ci sono tantissimi fattori che mi hanno infastidito in questo documentario, ovviamente i continui stupri e le molestie sono davvero insopportabili all’ascolto e al solo pensiero, ma quello che ho detestato e mi ha scioccata, il punto chiave che ancora oggi mi lascia qui a scervellarmi sull’accaduto, sono stati gli atti di grande egoismo commessi dalla famiglia della ragazza che, per celare scandalose sciocchezze, ha messo a repentaglio la vita della stessa figlia, la sua salute mentale e la sua infanzia che è stata devastata per sempre.

Da questa assurda e terribile vicenda, nel 2003, ne è uscito un libro scritto proprio dalla madre della vittima, dice che serve per sensibilizzare le persone sul tema e capire subito i primi campanelli d’allarme per non ritrovarsi in una situazione terribile come la loro. Ma quelli che hanno sentito loro non erano campanelli d’allarme, erano campanacci nelle orecchie, non hanno voluto sentire? Non lo sapremo mai.

Di tutta questa storia mi è rimasto impresso un concetto: il mondo è pieno di persone orribili capaci di fare cose orribili e purtroppo ci saranno sempre, quello che possiamo fare è stare il più attenti possibile per salvaguardarci e sperare di non incontrarne nessuna sul nostro cammino. Ma non è quello di cui dobbiamo avere più paura, ciò che davvero mi spaventa sono le persone che al momento della verità sono in grado di gettarti in pasto agli squali pur di uscirne bene, salvaguardare la loro misera dignità in cambio della tua vita. Quelle che sono in grado di voltarsi dall’altra parte e far finta di non vedere che agonizzi solo per non dare scandalo.

Ansia, questo documentario è ansia pura e per quanto abbia disprezzato la storia sono rimasta incollata allo schermo per tutto il tempo.

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