Fino al 3 febbraio 2019 Emma Dante porta in scena, al Teatro Bellini di Napoli, La Scortecata, opera tratta dall’omonima novella di Giambattista Basile facente parte della raccolta Lo cunto de li cunti. Lo spettacolo ha debuttato al Festival dei 2 Mondi di Spoleto.
Molte sono state le trasposizioni, sia teatrali che cinematografiche, di quest’opera ma per quanto riguarda La Scortecata, Emma Dante ha fatto suo il testo di Basile rendendo ancora più grottesca la storia e mettendo in scena due uomini che interpretano le protagoniste: Rusinella e Carolina.
Come i più sapranno, si tratta di un testo assai complesso per i molti livelli di lettura cui si presta, a metà tra Cenerentola e Amore e Psiche: narra la vicenda di due sorelle, qui interpretate dagli eccezionali Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, troppo vecchie e brutte per essere notate da chicchessia, cercano di sedurre il re con un trucco.
Quest’ultimo, infatti, avendo sentito cantare una delle due e innamoratosi della sua voce chiede di poterla vedere e così le due si inventano “lo stratagemma del dito”. Succhiando il dito mignolo fino a renderlo liscio come la pelle di un bambino, mostreranno solo quello al re. La beffa riesce, tanto che il re si porta a casa Carolina che chiede di giacere con lui al buio, ma questi, preso dalla curiosità di vedere, accende un lume e scopre l’inganno gettando la povera illusa dalla finestra.
Una fata che passava di lì fa diventareCarolina giovane e bella. Il re la vede e la chiede in sposa, suscitando la forte gelosia dell’altra sorella che per questo si fa scorticare dal barbiere, pensando di tornare giovane in tal maniera.
A parte l’originalità di mettere in scena due uomini, Emma Dante si serve di una scenografia scarna e lascia tutto nelle mani dei due interpreti che ora in prima, ora in terza persona, ci narrano la storia servendosi semplicemente di due seggiole, un castello situato al centro del palco e un baule. In proscenio c’è una porta disposta per terra e alzata solo al momento dell’inganno.
È uno spettacolo di corpi atletici quello di Emma Dante, in cui i due attori in scena si muovono come burattini cigolanti e sconnessi tanto da non sembrare, in alcuni momenti, esseri umani. Dei fantocci che raccontano una storia creando uno straniamento, prima di tutto, per il solo fatto di essere uomini e poi perché riescono a mettere in piedi un’intera storia da soli, senza l’aiuto di comprimari.
Il vigore e il rigore dei movimenti dei due attori è sorprendente per tutta la messa in scena ma soprattutto nella scena di sesso fra il “Re” e Carolina, dove vediamo uno dei due saltare addirittura sulle ginocchia servendosi di un lenzuolo e, sulla musica di Mambo italiano, simulando l’amplesso e la sua frenesia.
La musica classica napoletana, insieme a brani popolari, ha fatto da contrappunto narrativo. Le melodie a noi note di Come mammeta t’ha fatt e Mambo italiano si accordano alla musicalità del napoletano arcaico di Basile che rimanda a qualcosa di conosciuto che appartiene all’inconscio e all’identità collettiva e che ci riporta indietro nel tempo come la madeleine di Proust.
Un’altra possibile chiave di lettura potrebbe riguardare il tema dell’accettazione di sé e il travestimento finale di Carolina con un abito lungo e una parrucca rossa, rimandano alla necessità di alcune persone di esprimere con il corpo e dei travestimenti la loro essenza; come si sentono dentro. Pertanto l’anziana donna desidera essere giovane e bella e l’uomo può desiderare di essere donna.
In questo straniamento a tratti nostalgico si arriva a una conclusione malinconica e rassegnata che legge diversamente il finale della novella. Non c’è traccia dell’invidia tra sorelle narrata da Basile, bensì una profonda rassegnazione e un senso di rinuncia di Carolina che conclude il gioco delle parti messo in scena con la sorella con la frase: “Basta cu sta commedia. Io nun ci credo cchiù alle favole”.
Quest’ultima battuta ci dice qualcosa in più, qualcosa sul tempo che passa, sulla giovinezza che svanisce e sui sogni di gioventù che a lungo andare sbiadiscono.
Emma Dante ha confermato la sua capacità di fare proprio un testo, ricavandone qualcosa di attuale e dalle molteplici chiavi di lettura, facendo di una favola un testo trasversale.
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