Il fu Mattia Pascal che sarebbe piaciuto a Pirandello al Teatro Litta
Pirandello sta al teatro come Dante alla letteratura. È un classico, un sempreverde. Uno di quelli che segnano un prima e un dopo. Perché tutti quelli arrivati dopo di lui devono, inevitabilmente, ispirarsi a lui o allantonarsene. In ogni caso, a lui riferirsi. Non si può, dunque, dichiarsi amanti del teatro senza aver mai visto un’opera di Pirandello. Noi, ieri, abbiamo visto Il fu Mattia Pascal.
Lo abbiamo visto in quel gioiellino che è il Teatro Litta, nella versione di MTM – Manifatture Teatrali Milanesi, progetto artistico che si è preso un bell’onere. Perché Pirandello, l’abbiamo già detto, è il classico dei classici. E interpretare i classici è sempre complicato. A essere tradizionalisti si rischia di annoiare. Con la sperimentazione è un attimo arrivare a snaturare un’opera perfetta.
Che fare dunque? Quel che hanno fatto i drammaturgi Alberto Oliva e Mino Manni è una genialata. Hanno trovato l’escamotage perfetto per restare fedeli al classicone senza sembrare uno spettacolo di quelli che ti costringono a vedere con la scuola.
Pirandello è rimasto intatto. C’erano le sue parole, la sua storia, le sue digressioni filosofiche (anche e soprattutto l’arcinoto “strappo sul cielo” incubo di ogni interrogazione di letteratura). C’era Mattia Pascal esattamente come lui l’aveva creato: Mino Manni si cala nei suoi panni con brillantezza e umiltà, risultando credibile dal primo all’ultimo minuto. C’erano tutti gli altri personaggi, anche loro decisamente pirandelliani: banali ma interessanti, a volte esagerati, a tratti tragicomici, sempre, anche loro, credibili. Ma c’era anche qualcosa di più. Qualcosa che Pirandello non aveva immaginato ma che avrebbe sicuramente apprezzato. C’erano delle tende bianche e, al loro interno, una lucina. C’erano delle tende trasformate in un secondo palcoscenico o, meglio, nella parete della grotta di Platone.
Gli attori interpretavano la scena madre, quella in cui Mattia Pascal diventa Adriano Meis. La messinscena della messinscena. La finzione che imita una finzione. La “realtà”, la vita vera di Mattia, quella da cui fugge, l’hanno raccontata le ombre cinesi. Così la recita si fa più reale della vita. Perché la vita non è mai reale davvero, assomiglia sempre a quel che vogliamo vedere noi. È apparenza, maschere, ipocrisia. È solo nella consapevolezza del fingere, nascondendosi dietro un personaggio che si può essere davvero liberi. Che si può smettere di essere ombre e diventare carne, ossa e anima. E non è questa forse la filosofia di Pirandello?
Il fu Mattia Pascal
Teatro Litta, Corso Magenta 24
Dal 10 al 20 gennaio 2019