Mi chiamo Andrea e sono nato il 25 marzo del 1977. Da piccolo ero timido e introverso, uno di quei bambini che amano giocare da soli, che non fanno i capricci, che conoscono le regole e le rispettano alla lettera. Credo che nessuno avrebbe potuto definirmi “disobbediente”, all’epoca.
Così inizia “#disobbediente” di Andrea Franzoso (DeA Planeta), l’uomo che con le sue rivelazioni diede il via all’inchiesta sul presidente delle Ferrovie Nord, Norberto Achille.
“Veni, vidi, tacui”. Fu il columnist americano Donald Herron a stravolgere la celeberrima frase pronunciata da Giulio Cesare al ritorno dalla vittoria contro Farnace II del Ponto e a trovare la sintesi perfetta per descrivere un certo modo di vivere la vita: quello di chi “venne, vide e tacque”. Un modo che non è quello di Andrea Franzoso, 41enne autore cavarzerano, già capitano dei carabinieri, già gesuita, già funzionario dell’ Internal Audit di un’azienda pubblica e, oggi, autore di una delle più innovative piattaforme televisive – Loft – è “Il disobbediente: lui non ha voluto piegarsi al sopruso e all’illegalità, lui ha deciso che esiste anche un modo onesto e dignitoso di vivere e di “fare l’italiano”.
“C’era una volta un giovane impiegato di un’azienda ricca e importante. Un giorno scoprì che il presidente dell’azienda rubava grosse somme di denaro e decise di riferire tutto ai suoi diretti superiori. Il presidente venne licenziato e denunciato alle forze dell’ordine e quel dipendente onesto…” pagò il prezzo della sua libertà di pensiero, parola e azione. Di fronte al dilemma “salvare la carriera, oppure la coscienza? non ha avuto dubbi e ha fatto quello che dovrebbe fare chiunque assista a un reato: ha denunciato. Guadagnandosi prima gli onori del caso, sostegno e solidarietà; e poi gli òneri della faccenda, “accusato di essere una spia e un traditore. L’azienda gli ha fatto terra bruciata intorno. È stato isolato e trattato come un appestato”.
“#disobbediente” è la storia di chi ha denunciato un sopruso e non è stato tutelato. “#disobbediente” è un libro contro la paura: la storia vera di un uomo che ha avuto il coraggio di andare controcorrente, un whistleblower.
Ma chi è il whistleblower? Letteralmente è il “suonatore di fischietto”, che, come l’arbitro di calcio, di rugby o di basket fischia davanti a un fallo per «fermare il gioco sporco», cioè chi denuncia casi di corruzione e malaffare nei luoghi di lavoro, come lo chiamano negli Usa, in Gran Bretagna e in altri Paesi (civili) che lo tutelano come specie protetta.
Nel nostro “Belpaese” esistono tanti bellissimi termini, ma questo “whistleblower” è proprio un illustre sconosciuto. Vuoi per l’etimologia, vuoi per il ceppo linguistico, vuoi per forma mentis…
Tant’è, Andrea Franzoso ha voluto incarnare in panni nostrani il il “suonatore di fischietto”, non solo come “protagonista letterario” ma nella vita vera. Un novello “pifferaio dell’ onestà”, portatore sano di valori spesso dimenticati, o temporaneamente “congelati” per paura.
Ed è proprio la paura il grande protagonista di questa storia, ce lo dice Andrea stesso nella conclusione: “il nemico peggiore del protagonista, di sicuro il più subdolo, è la paura. La paura di buttare tutto all’aria per una denuncia, di giocarsi il lavoro e la sicurezza, di perdere gli amici e di restare solo, di essere giudicato.
Ci sono infinite varietà di paura che si possono provare prima di un passo importante come una denuncia. “Perdi il tuo lavoro e sei costretto a reinventarti, a ricominciare.
Ma in questo modo ti accorgi di avere risorse che non avresti mai immaginato e magari trovi un altro lavoro che ti appassiona. Perdi qualche “amico”, ma poi ti rendi conto che i veri amici sono un’altra cosa e scopri un mondo intero di persone nuove, più affini a te, più interessanti.
Perdi le tue certezze e ti accorgi che erano proprio quelle a frenarti, a precluderti mille possibilità.
Insomma, spesso la paura si rivela un bluff. Eppure è l’arma principale dei bulli e dei disonesti: senza la nostra paura, loro non sono niente. Se capiamo questo, forse allora non è poi così assurdo pensare di poter cambiare la mentalità malata di questo Paese, di poter sradicare la cultura dell’illegalità e del silenzio.
Se vinciamo la paura, forse in futuro potremo finalmente vivere in una società senza paradossi, dove saranno i furbi e gli approfittatori a doversi vergognare e dove non sarà necessario “disobbedire” per far rispettare la legge”.
Il messaggio che vuole passare è che non si può essere davvero liberi se non si è onesti con se stessi e con gli altri. E che spesso il nemico più grande non è il bullo, varietà trasversale per fasce d’età e per habitat ma autoctono sempreverde, ma la paura: sconfitta quella, si apre un universo di possibilità. E non si tratta di resilienza. Si tratta di una lezione di legalità, per tutti, bambini, ragazzi, adulti.
Una situazione paradossale, per come si è svolta, e imbarazzantemente kafkiana, raccontata in modo semplice, piano, diretto e immediato; non siamo di fronte a un capolavoro della letteratura, ma una storia di valore e va bene così.
Una storia che parla di Andrea, di me e di te e di chiunque legga, queste righe e quelle dell’autore. Parla di tutti noi e del rapporto che ciascuno di noi ha e può avere con il concetto di responsabilità, la capacità di rispondere per se, ciò che differenzia un uomo onesto da uno disonesto; la capacità di dire “no” e il valore di questo “no” che nessuno può comprare.
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