“L’uomo che rubò Banksy” è il roboante film evento diretto dal regista Marco Proserpio, prodotto personalmente da Marco Proserpio in collaborazione con Rai Cinema, in arrivo nelle sale cinematografiche italiane solo l’11 e il 12 dicembre, distribuito da Nexo Digital a suggellare trionfalmente lo splendido progetto La Grande Arte al Cinema, per una due-giorni che andrà a indagare i retroscena della “rivoluzione”, tanto silenziosa quanto conturbante, che la Street Art di Banksy e i messaggi da essa veicolati stanno provocando nel mondo dell’arte contemporanea.
Questo film non passerà inosservato: lo spettatore si troverà al cospetto di un’accurata ricostruzione sulla “rivoluzione” della quale colui che si cela dietro l’ormai epocale nome di Banksy si è fatto carico da anni, ma in special modo sulle logiche, che hanno gradualmente fatto il proprio ingresso nella scena artistica, che “muovono” coloro che traggono indebitamente profitto dalle opere create dal “fantasma dell’arte contemporanea”, Banksy.
Difficile, se non improbo, il compito di indagare con meticolosità quali siano i retroscena nascosti dietro il sipario dell’operato di Banksy e della sua “squadra”, quale sia la sua identità, intorno alla quale si è ormai creato un vero e proprio “mito” in tutto il pianeta, ma soprattutto l’inarrestabile fermento da parte di galleristi, collezionisti o più semplicemente meri opportunisti che il sempre crescente valore monetario delle ormai celebri opere della Street Art di Banksy sta generando in tutto il globo.
Presentato con grande successo in occasione del Tribeca Film Festival e approdato in anteprima nazionale nella sezione Festa Mobile al Torino Film Festival, un film di tale portata non poteva che essere narrato direttamente da una voce iconica, una di quelle voci che non hanno bisogno di presentazioni: l’incarnazione vivente del punk e del rock and roll, Iggy Pop, ci accompagna lungo le date i luoghi che stanno scrivendo pagine di storia della Street Art, sulle note di una colonna sonora tanto memorabile da valere essa stessa il prezzo del biglietto, mettendo lo spettatore vis-à-vis con esponenti di varie professionalità legate al mondo dell’arte contemporanea, tra i quali menzioniamo l’imprenditore Maikel Canawati, il “nostro” Paolo Buggiani, il padre fondatore della Street Art a livello italiano, e l’avvocato Annabelle Gauberti, i quali, come del resto ciascuna personalità intervistata, esprimono il proprio punto di vista su innumerevoli questioni, anche di natura legale, che gravitano intorno all’operato di Banksy e di coloro che sul valore di queste opere stanno costruendo un vero e proprio business.
Correva l’anno 2007, quando Banksy e “i suoi”, scardinando come loro assodata consuetudine qualsivoglia “protocollo” vigente, si introdussero in territorio palestinese, “firmando” con la propria inenarrabile capacità artistica case e muri di cinta. E proprio una tra queste opere d’arte, “Donkey Documents”, scatenò l’ira di coloro che popolavano quei territori, dal momento che costoro si sentirono “dipinti” come degli “asini” di fronte al mondo intero.
Per porre rimedio a ciò che venne ritenuto un “affronto”, un imprenditore locale, Maikel Canawati, fu coadiuvato dall’apporto di un taxista diventato a proprio modo “noto”, Walid “The beast” Zawahrah, il quale decise di tagliare e asportare la sezione di muro sulla quale era stata creata l’opera, con l’ausilio di un flessibile ad acqua. Il loro obiettivo era tanto cristallino quanto surreale: rivendere il tutto al maggior offerente.
Da questa vicenda ha inizio un valzer di testimonianze e opinioni di professionisti di lunga data ed esperienza, alla ricerca della risposta a un solo, quanto mai esemplare, interrogativo: coloro che si appropriano delle opere create dagli Street Artist, più o meno noti essi siano, considerandole “merce” ed espropriandole dal proprio “habitat” naturale, si comportano in questo modo per preservarne l’esistenza o più semplicemente per il proprio tornaconto personale?
Su questo interrogativo, destinato a fare epoca, vi invitiamo ad accorrere nei cinema per non perdere questo memorabile viaggio lungo le tappe che stanno scrivendo la storia della Street Art, con l’auspicio che film di questo calibro non rimangano casi isolati ma possano portare a delle serie riflessioni sulle “tendenze” che hanno ormai ampiamente “preso piede” nel mondo dell’arte.
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