È di scena al Teatro Bellini di Napoli fino al 25 novembre Fronte del porto, diretto da Alessandro Gassmann, scritto e adattato per le scene da Enrico Ianniello.
Ianniello e Gassmann hanno deciso di spostare l’ambientazione del film di Elia Kazan (1954) nella Napoli dei primi anni ottanta, ispirandosi ai film poliziotteschi del periodo e, in particolar modo, a Napoli… la camorra sfida, la città risponde (1979) diretto da Alfonso Brescia e con protagonista Mario Merola.
La linea narrativa resta sostanzialmente la stessa, ossia le vicende di un ex pugile trentenne finito nei loschi affari di un boss della criminalità organizzata, per il quale svolge dei lavoretti grazie al fratello, braccio destro del boss e che ha introdotto il ragazzo nel giro. Ma l’amore e i sensi di colpa cambieranno lo status quo riportando il protagonista sulla retta via.
Quello che fu il ruolo del grande Marlon Brando è qui affidato a Daniele Russo che, infatti, scimmiotta gli atteggiamenti che Brando aveva nel film riuscendo però a mantenere una propria personalità e dando al personaggio un carattere e una parola sicuramente più nostrani dal momento che siamo a Napoli.
Il ruolo del fratello è affidato a Edoardo Sorgente, stella nascente del teatro, le cui doti recitative abbiamo potuto ammirare nella terza serie di Gomorra.
Sorgente sarà presto al cinema con Cinque è il numero perfetto, esordio alla regia del fumettista Igort. Il suo è un personaggio all’apparenza marginale ma che svolge un ruolo chiave nella svolta della storia, sia nel film che nello spettacolo e Sorgente sa certamente farsi notare anche quando non è il protagonista.
Il boss di Ernesto Lama è un personaggio quantomai ambiguo, una macchietta che in alcuni momenti fa ridere ma in altri mostra le sue turbe psichiche, in sostanza è un egomaniaco fondamentalmente insicuro e avido di denaro al punto da passare “sopra sua madre”, come lui stesso dirà a un certo punto. Questo personaggio reso così bene ci turba poiché non può fare a meno di ricordarci quanto sia reale quello che stiamo vedendo. L’omertà, la paura, i traffici illeciti, la povera gente che muore sul posto di lavoro per delle ingiustizie, i pochi che si arricchiscono sulla pelle dei molti, l’illegalità e la violenza, sono una realtà che non riguarda solo la Napoli degli anni ottanta ma che ha molto a che fare con i tempi bui che ancora viviamo in tutta Italia e di cui Napoli è la punta dell’iceberg.
Vi sono delle scene suggestive che sono tanto più efficaci perché suggeriscono situazioni piuttosto che mostrarle, perché stimolano l’immaginazione senza esprimere violenza.
Una cosa da sottolineare è che gli autori hanno voluto dare un carattere cinematografico allo spettacolo inserendo dei titoli di coda con la proiezione di ogni attore alla comparsa del nome del personaggio al termine della rappresentazione.
La scenografia è una delle cose più belle dello spettacolo, Gassmann ha optato per delle quinte mobili che a seconda degli spostamenti determinano un luogo diverso, ora i container del porto, ora la strada, ora un bar del quartiere. Lo sfondo è affidato alle proiezioni video dei fondali che attingono dal reale e nel proscenio c’è un telo trasparente sul quale all’inizio viene proiettata l’immagine di una caduta che lascia poi spazio a un fantoccio, il cadavere di un personaggio.
Inizialmente il fantoccio lascia un senso di straniamento ma questo elemento brechtiano da luogo a una riflessione importante: il fantoccio è la rappresentazione simbolica di tutti morti di mafia in quel periodo e non solo. Per questo l’elemento dichiaratamente finto dà luogo a una riflessione importante e rappresenta una dichiarazione d’intenti del regista.
Da questa scena in poi sappiamo che la storia che stiamo per vedere sarà di ingiustizie e dolore.
Al termine della rappresentazione si esce soddisfatti per aver visto uno spettacolo degno di un teatro importante come il Bellini e diretto da un grande attore e regista come Gassmann che si conferma artista completo. Non si può fare a meno di provare un senso di angoscia dall’effetto di certe scene che sanno toccare le corde giuste. Si esce lasciando la Napoli violenta dei primi anni ottanta per catapultarsi nella Napoli di oggi e sentire quasi un brivido di paura e angoscia che ti corre lungo la schiena. C’è però un barlume di speranza, quella che il meccanismo malato della società un giorno sarà fermato se ci si allea insieme per il bene.
Questa è la morale della storia, questo è l’obiettivo che secondo gli autori ci si dovrebbe prefiggere: dire la verità, perché non sono le pistole a eliminare i criminali ma la verità. Queste parole sono affidate al don Bartolomeo, interpretato da Orlando Cinque, che rappresenta tutti i preti che sono usciti dalle chiese per andare in strada e occuparsi della gente e aiutarla davvero, non solo dal pulpito.
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