La storia è quella di due fratelli, Matteo (Riccardo Scamarcio) e Ettore (Valerio Mastandrea): tanto estroverso e carismatico il primo quanto pacato e riservato il secondo. Matteo è un imprenditore di successo, omosessuale e libertino, lavora con l’arte e in particolare l’arte sacra. Ettore e un modesto insegnante di liceo che vive ancora nella città di provincia dove sono cresciuti. La scoperta di una grave malattia porterà i due fratelli ad approfondire un legame che per anni è stato superficiale e li aiuterà a ritrovarsi.
La sala Rossellini del cinema Filangieri era piena, nonostante ci fosse un’importante partita di Champion’s League tra il Napoli e il Paris Saint Germain; sorvoliamo sul fatto che la maggioranza del pubblico in sala fosse di sesso femminile ma si intravedeva anche qualche uomo che evidentemente ha preferito il buon cinema allo sport. La stessa regista, con grande savoir faire, si è scusata della scelta infelice del giorno e ha ringraziato la platea per la presenza.
Il Filangieri è un cinema che si distingue rispetto alle molte sale che albergano la città di Napoli per essere uno dei pochi sul territorio ad accogliere film d’autore che hanno partecipato a festival e rassegne importanti, ossia quei film che hanno appunto un “certain regard” ed Euforia è uno di questi.
La Golino ha uno sguardo e delle idee forti con una personalità registica importante e lo aveva già dimostrato con il suo primo lungometraggio, Miele (2013). In Euforia riconosciamo la classe della regista e la sua personalità dal modo che ha di muovere la macchina senza che questa risulti fastidiosa o troppo presente. Eppure è sempre addosso ai personaggi fino a farcene sentire il respiro, li segue con se fosse un terzo personaggio che spia la vita, le ansie, le paure di due persone che, nonostante tutto, si vogliono molto bene e affrontano insieme una delle prove più dure che la vita possa riservare.
La regista ha seguito il fil rouge dell’arte in alcune scene nelle quali sembra più che altro di assistere a una performance artistica.
Un semplice bagno, per esempio, diventa subito la metafora della paura che annebbia la mente in momenti difficili come quello della malattia, lo fa attraverso il vapore dell’acqua della doccia che avvolge uno dei protagonisti proprio dopo un dialogo cruciale nella storia.
Un altro esempio lo vediamo all’inizio del film con le prime immagini: il corpo nudo di un ragazzo che si muove marciando sulle note di una melodia strumentale circondato da giochi di luci e ombre.
Questa scena iniziale racchiude, per me, la metafora del film e forse della vita stessa: corpi in movimento frenetico ora illuminati dalla luce, ora oscurati. La frenesia di quel corpo che vediamo all’inizio rappresenta in qualche modo l’Euforia del titolo, una gioia frenetica superficiale che non è gioia piena ma qualcosa di schizofrenico che, forse, nasconde una malinconia di fondo.
Nel film inoltre si racconta molto bene la difficoltà di certi rapporti famigliari costruiti principalmente sulle cose non dette. Da parte di Matteo c’è un costante desiderio di restare in superficie per non dover mai andare troppo a fondo nelle cose e, se mai una cosa simile si dovesse verificare, ecco che ci sono il sesso e la droga a mantenerci leggeri. La malattia del fratello sarà un mezzo per andare a fondo e maturare in un rapporto, quello di Ettore appunto, che era rimasto infantile e superficiale.
In un periodo in cui spesso si preferisce la superficie alla profondità, film come Euforia sono necessari a ricordarci che alla fine quello che conta nella vita sono i rapporti umani. Il film è bello ed emozionante proprio perché racconta qualcosa che forse abbiamo troppo trascurato, il legame con gli altri e la coesione.
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