Nell’aprile del 1875, dopo un lungo peregrinare, il giovane e affascinante poeta francese Arthur Rimbaud giunse in quel di Milano, trovando rifugio presso la dimora di una misteriosa “vedova molto civile” al civico 39 di Piazza Duomo. Sono poche le testimonianze del soggiorno del poeta di Charleville nella città meneghina. Una, in particolar modo, non lascia spazio ad alcun dubbio: un biglietto da visita, il cui originale è andato disperso, sul quale il genio d’oltralpe appuntò il suo momentaneo recapito: 39, Piazza del Duomo, terzo piano.
Edgardo Franzosini, l’autore del libro “Rimbaud e la vedova” edito da Skira, ricostruisce minuziosamente attraverso le testimonianze indirette delle biografie degli amici di Rimbaud, dei conoscenti del giovane poeta, dei colleghi letterati e dei documenti risalenti a quegli anni, il reale motivo dell’approdo nel capoluogo lombardo del giovane scrittore, ma in special modo l’identità della misteriosa signora che lo accolse per un periodo prolungato, offrendogli un luogo di assoluto privilegio in cui alloggiare.
Che si sia trattato di un atto caritatevole o di un gesto amorevole, la nobiltà d’animo di questa “vedova molto civile” permise ad Arthur Rimbaud di frequentare Milano nel periodo in cui la città era la dimora letteraria degli ‘scapigliati’, di Giovanni Verga e Carlo Dossi, nonché dell’altisonante tenore dei salotti intellettuali della contessa Clara Maffei e di Vittoria Cima. Per quanto sarebbe sognante ipotizzare incontri tra il genio francese e codesti intellettuali, non vi è traccia tangibile alcuna a riprova di essi. Tre, forse quattro settimane: questa è la breve durata della permanenza di Arthur Rimbaud in terra meneghina, ricca di fascino e mistero. Edgardo Franzosini pone la sua firma su un’opera tanto colta quanto meticolosa. Giunti alla fine, si è entrati a contatto con una Milano d’altri tempi, dimora d’eccezione di uno dei più affascinanti geni letterari giunti ai posteri. Un’opera imprescindibile nella libreria di ciascuno di noi.
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