Quando si parla di personaggi femminili letterari non si può non pensare quasi subito ad Anna Karenina, Emma Bovary e Catherine Earnshaw di “Cime tempestose” oppure Rossella O’Hara, Elizabeth Bennett del (mio) amato “Orgoglio e pregiudizio”. Se pensassimo a elencare, però, alcuni nomi di donne eccezionalmente cattive (senza giustificazioni esistenziali in stile Marianna de Leyva, aka, Gertrude, aka la Monaca di Monza, per intenderci) del mito e della letteratura forse faremmo una fatica a dir poco disumana. A meno di non finire nelle mani di Shakespeare e diventare Lady Macbeth o di diventare la Milady De Winters de “I tre moschiettieri”di Alexandre Dumas, la letteratura non è, esattamente, il luogo ideale per essere cattive. Al massimo, assassine, manipolatrici, femme fatale dall’anima nera si vedono sul grande schermo, non tra le pagine di un libro.
Lisa Hilton, autrice inglese classe ’74 (figlia di due insegnanti del liceo, laureata a Oxford, ha studiato Storia dell’Arte a Firenze e a Parigi) lo sapeva bene quando ha partorito (perché comunque sempre di donne stiamo parlando) la sua creatura: Judith Rashleigh, protagonista indubbiamente negativa di “Domina” (Longanesi), il secondo capitolo della saga iniziata da “Maestra” e che si concluderà con “Ultima”, previsto in uscita nel prossimo 2018.
Anche qui utilizza come pigmalione artistico un grande maestro della pittura di ogni tempo: laddove “Maestra” aveva illuminato i tratti di modernità delle opere e dell’esistenza di Artemisia Gentileschi, “Domina” indaga i lati oscuri e perversi dell’animo umano attraverso le tele e la vita di Caravaggio. La nostra “cattiva che mancava” Judith Rashleigh, alias Elizabeth, ha finalmente realizzato il suo sogno: aprire una galleria d’arte a Venezia. Vive in fuga dai crimini commessi in passato ma anche dal suo stesso passato; vive e lavora sotto falso nome nella speranza di aver messo ordine nella sua vita. Un omicidio, al quale Judith non sembra collegata, la trascina di nuovo nel mondo spietato che pensava di essersi lasciata alle spalle.
Tra traffico di opere d’arte e criminalità organizzata internazionale, Domina è un thriller nel quale spionaggio, azione, omicidi e intrighi sono gli elementi cardini che sorreggono una trama davvero intricata.
Ambientata buona parte in Italia, a Venezia sede della galleria e in Calabria, ma anche in altre città europee, a Ibizia, Belgrado, Parigi, la narrazione è avvincente ma dai toni cupi e dal ritmo tagliente. Tra fughe rocambolesche e scene di sesso disinibito è disegnata la psicologia della protagonista. Un’eroina decisamente politicamente scorretta, unapologetic, femminista, sovversiva ma dal fascino irresistibile, Judith è intelligente, colta, ambiziosa e soprattutto estremamente disinibita. Vittima di bullismo da adolescente, figlia di una madre povera e alcolizzata punta tutto sull’istruzione e tenta di emergere da quel mondo sotterraneo e sommerso che in realtà non la abbandonerà mai. Naturalmente è anche molto bella e attraente, senza scrupoli nell’usare gli uomini come oggetti e il sesso come mezzo per farsi strada in un mondo, quello dell’arte, ma non solo, dominato da un fallocentrismo fallo-imperante che è inutile negare.
Un’anti-eroina che di primo acchito ti lascia perplesso, constatazione di come nel mainstream, i tempi non siano ancora maturi per un certo tipo di realismo criminale al femminile, che, non senza picchi di humor nero, lascia senza parole.
Consigliato per una lettura “pruriginosa” ma senza pregiudizi.
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