Ho appena letto Le ragazze di Emma Cline.
In ritardo, lo so. È quasi un anno ormai che si parla del romanzo d’esordio della Cline come di un caso letterario.
Un libro la cui pubblicazione è stata annunciata con mesi d’anticipo e che, ancor prima di essere finito, ha fruttato alla giovane autrice ben 2 milioni di dollari.
Un libro di cui tutti hanno parlato, che tutti hanno comprato e su cui sono state scritte righe e righe di recensioni – quasi tutte entusiastiche.
Io, però, prima di leggerlo ho aspettato parecchio.
Quando si parla di libri, me la tiro parecchio. Classici a parte, cerco sempre la rarità e diffido dei troppo facili entusiasmi collettivi. Uno snobismo il mio che non ha sempre risvolti positivi.
È stato per via di quest’atteggiamento spocchioso, ad esempio, che da ragazzina ho schifato quell’indiscusso capolavoro di Harry Potter.
Stavolta, però, ho ceduto.
Girovago in biblioteca alla ricerca di qualcosa da leggere. Stavo lì dentro da almeno mezz’ora, il catalogo lo avevo già sfogliato almeno una dozzina di volte ma non riuscivo a scegliere.
Poi, su una copertina, ho visto questo viso arancione che mi fissava dietro un paio di occhiali scuri e ho pensato che, beh, se tutti continuavano a parlarne così bene non doveva poi essere così male questo Le ragazze. Così me lo sono portata a casa.
Questo accadde lunedì. Oggi è venerdì. L’ho già divorato.
Ho buttate giù le pagine una dopo l’altra, in metro, a letto, di nascosto in ufficio. Non riuscivo a smettere. Perché Le ragazze è uno di quei libri un po’ infami che già alla prima pagina ti annunciano quel che succederà, ma alla fine te lo rivelano davvero solo alla fine. E così tu vai avanti, parola dopo parola, senza sosta, con una curiosità da scimmia.
Mi è piaciuto? Nì.
Lo stile della Cline è scorrevole, vivido, a tratti sensuale. Però non è eccelso. Però subito prima di lei avevo letto uno dei capolavori di Marguerite Yourcenar e, insomma, l’asticella estetica era troppo alta perché una contemporanea poco più che ventenne potesse non deludere.
È intrigante, però, il modo di scrivere di Emma. Ti lascia la possibilità di immergerti dentro la storia fino al collo. Non così letterario da ammaliare ma neppure così sempliciotto da preferirgli un post di Oltreuomo.
Perché parli della forma non lo so, deviazione professionale forse. Quel che conta de Le ragazze è la storia. È quel che succede che tiene incollato alle pagine, non il modo in cui è raccontato. La trama non è poi così complessa. C’è una ragazzina alle prese con l’arrivo dell’adolescenza e delle sue insicurezze e c’è una ragazzina un po’ più grande e un po’ più sicura di sé per cui lei perde la testa. Evie e Suzanne, con Evie che smania per suscitare l’approvazione di Suzanne.
Evie bambinetta, tutta bluse ricamate e canzoncine allegre, con una mamma new age e un collegio per figlie di papà che l’attende. Suzanne selvaggia e bella come solo quelle fuori di testa sanno esserlo, sfacciata e scappata di casa, innamorata di un poco di buono con poca spina dorsale ma tanti anni di più.
Dell’amore di Suzanne per Russell non credo serva parlare, non è questo il punto. Le protagoniste sono le ragazze e nessun’altro. I maschi servono solo a suscitare in loro emozioni e delusioni. Approfittatori o aspiranti cavalieri poco importa, non sono mai osservati come persone ma solo nel loro essere parte dell’altrà metà della luna, la metà potente e che avrà sempre la meglio.
Fin qui, tutto piuttosto banale.
A rendere le cose interessanti sono gli anni ’60, la California, gli hippie e le loro utopie. Il romanzo è ambientato nella Los Angeles del ’69, dentro un ranch abitato da una sporca e folle comunità di giovani che hanno scelto di disprezzare il mondo e in cambio adorare una sorta di guru fattone.
A renderle davvero interessanti è il risvolto macabro. La storia di violenza, orrore e crudeltà che si annida tra gli intrecci da romanzo di formazione. Le azioni raccapriccianti che può far compiere l’amore quando più che amore è ossessione e carenza.
Il tutto ispirato a un tanto famoso quanto spaventoso caso di cronaca, ma niente spoiler.
Una storia che tira fuori quell’istinto perverso che abbiamo tutti. Quello che ci fa appassionare alla cronaca nera e guardare le storie noir dei docushow di Real Time. Uno di quegli avvenimenti che più ti fa ribrezzo e più dettagli vuoi.
E vorrei fermarmi qui. Vorrei poter dire che è stato solo per l’intreccio cupo e inaspettato che ho impiegato meno di 72 ore per leggere Le ragazze, però mentirei.
Se non l’ho mollato per più di un secondo è anche perché, nonostante l’adolescenza sia bella che andata, adolescente mi ci sento ancora. Tutti, in fondo, ci sentiamo ancora dei teen. E riusciamo a immedesimarci nelle incertezze di Evie, nelle pose di Suzanne, nei loro dubbi e nel desiderio di essere ammirati che muove ogni loro azione. Nonostante il lavoro e le prime rughe, dentro continuiamo a sentirci così. Ci chiamano donne ma è nelle ragazze che ci riconosciamo.
Forse parlo al plurale per attenuare le mie colpe in un banale mal comune mezzo gaudio, eppure l’enorme successo del libro sembra darmi ragione.
Le ragazze di Emma Cline piace e mi è piaciuto perché permette di tornare adolescenti, col sadico brio di uno di quei delitti che non ti scordi più.
Inoltre, Le ragazze di Emma Cline mi ha insegnato che, a volte, del giudizio del pubblico vale la pena fidarsi.
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