I tatuaggi arrivano, per la prima volta, alla Biennale di Venezia.
Avete letto bene, la 57° edizione della più famosa tra le rassegne d’arte apre le porte ai Tattoo.
Molti di voi non crederanno ai loro occhi. Quella del tatuaggio è un’arte che non gode di molto credito.
Tendiamo a pensare all’arte come qualcosa da appendere alla parete o da esporre in un museo. Non crediamo sia qualcosa da portare ogni giorno con sé, come se l’uso ne scalfisse la preziosità. Pensiamo che l’arte debba essere qualcosa di inaccessibile e lontano, che non può essere a disposizione di tutti e, soprattutto, non può essere a portata di mano – o, in questo caso, di pelle.
Pregiudizi del genere avranno anche i loro razionali fondamenti, tuttavia hanno il difetto di farci dimenticare della bellezza del quotidiano. E non parlo di fiori e cuori, di piccoli gesti e sorrisi che arricchiscono le giornate. È un discorso molto più materialistico il mio.
Quando dico “bellezza del quotidiano” mi riferisco a quelle opere d’arte che tutti – portafoglio permettendo – possiamo portarci addosso.
Parlo di abiti, scarpe e gioielli. La moda è l’unica arte che ti da la possibilità di indossare i propri frutti e chi non ne capisce la grandezza è solo perché non ha mai provato l’ebbrezza di danzare con una gonna Missoni che ondeggia a ritmo di musica.
E, soprattutto, parlo di tatuaggi.
La moda l’arte te la mette indosso e poi te la fa posare dentro un armadio buio. Il tatuaggio, invece, è un’arte che non ti lascia un attimo. Un’arte che diventa parte di te e che fa diventare anche te parte del capolavoro. E a chi non piace l’idea di assurgere al ruolo di masterpiece?
Questo potrebbe sembrare il delirio di un’esaltata. La filippica di una finta intellettuale che tenta di dare un significato più profondo alla pin-up che si è impressa sotto le tette. Ma non è così.
Non è così perché non sono mica io a dire che il tatuaggio è un’arte, è la Biennale di Venezia che lo ha deciso. E chi siamo noi per contraddirla?
Così come non possiamo certo contraddire Gabriele Pellerone, il giovane tatuatore – nonché autore della sovracitata pin-up – i cui disegni saranno esposti assieme a quelli dei più quotati artisti contemporanei alla 57° Biennale di Venezia e che ci ha concesso una piccola intervista.
Siamo curiosissimi. In cosa consisterà esattamente la tua partecipazione alla Biennale di Venezia?
“Saranno esposti 3 quadri fatti da me. Quadri innovativi, realizzati su pelle sintetica con una macchinetta i cui aghi sono ispirati ai pennelli, con colori che di miscelano secondo le stesse regole pittoriche”.
Quali i soggetti dei lavori esposti? E cosa ti ha spinto a scegliere proprio quelli?
“I disegni esposti avranno tutti come soggetto volti di donna. E non credo serva spiegare perché preferisca raffigurare la bellezza femminile…”
Hai iniziato a tatuare appena 5 anni fa, ti saresti mai aspettato di finire in un museo?
“In realtà non pensavo neppure di fare dei tatuaggi il mio lavoro, perciò essere parte di un progetto del genere era del tutto inaspettato. Però, fin dagli inizi ho sempre lavorato con l’obiettivo di portare l’innovazione all’interno dell’arte su pelle. Credo questo sia un grande passo per il mondo dei tatuaggi, finalmente accettato dalle istituzioni, e sono felici di dare il mio contributo”.
Cos’è che accomuna un tatuatore a un pittore?
“Realizzare un tatuaggio è come dipingere: stesse logiche, stesse modalità di esecuzione e stessa miscelazione dei colori. Così come un pittore, anche un tatuatore raffigura ciò che vede, sente o immagina. Gli strumenti di oggi permettono di avvicinarsi a stili diversi dando libero sfogo al proprio estro creativo. C’è una grande differenza però tra innovatori e esecutori e non tutti i tatuatori sono artisti.”
Cosa, invece, distingue il lavoro di un tatuatore da quello di un pittore?
La differenza sostanziale sta nella possibilità di sbagliare. Un pittore, sulla sua tela, può apporre tutte le modifiche che vuole, mentre sulla pelle non esiste margine di errore”.
Adesso cosa farai? Continuerai a dipingere su pelle o passerai alle tele?
“Continuerò a sperimentare sulla tela ma non smetterò mai di tatuare. Fare il tatuatore mi rende felice perché i miei lavori regalano emozioni vere a chi sceglie di farli suoi. Chi sceglie di farsi tatuare entra in studio con il sorriso e la mia missione è quello di farlo uscire con uno ancora più grande”.
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