Frida Kahlo: una donna che ha toccato fortemente il mondo dell’arte, non solo per la sua bravura indiscussa e per il talento innato, ma anche per la sua la forza intellettuale e quella personalità ingombrante impossibile da ignorare. Una donna forte e passionale che ha trasformato il dolore, quello vero, quello che ti spacca letteralmente in due, in arte pura, diventando lei stessa icona di stile.
Lo si evince osservando il suo guardaroba, ricco di abiti e accessori che vogliono essere un omaggio “femminista” alle radici della società matriarcale messicana, ma dove troviamo anche il busto ortopedico o la protesi alla gamba, testimoni di una vita legata all’arte tanto quanto al dolore, che ha sempre guidato la pittrice messicana attraverso le disgrazie della vita.
Come infatti è noto, Frida a 18 anni subì un incidente che le cambiò per sempre l’esistenza. Si salvò per miracolo da uno schianto dell’autobus, sul quale viaggiava al rientro da scuola, contro un tram. Furono moltissime le conseguenze fisiche, la colonna vertebrale le si spezzò in tre punti; si frantumò il collo del femore e le costole; la gamba sinistra riportò 11 fratture; il piede destro rimase slogato e schiacciato; la spalla sinistra restò lussata e l’osso pelvico spezzato in tre punti. Nella sua vita subì 32 operazioni chirurgiche che le permisero di salvare la colonna vertebrale. Questa situazione la costrinse a letto con un busto di gesso per lunghissimi periodi. La solitudine la portò definitivamente ad appassionarsi alla pittura.
Il dolore che non la abbandonò mai, prima di morire le venne amputata la gamba destra per la cancrena. Nel 1954 Frida lasciò questo mondo uccisa da un’embolia polmonare.
Alla sua morte, il pittore Diego Rivera, l’amore della sua vita, decise di chiudere tutti i suoi effetti personali nella stanza da bagno della loro casa a Città del Messico, la famosa “Casa Blu”, oggi museo e luogo di pellegrinaggio per tutti gli amanti dell’arte e di quella donna meravigliosa.
Rivera decise che quella stanza non sarebbe stata aperta per quindici anni dopo la morte della moglie. La chiusura si prolungò in realtà fino al 2004, quando il museo decise di inventariare l’intero corpus: circa 300 reperti inediti della vita di Frida Khalo.
Ad avere il privilegio di fotografare i “sacri” oggetti è stata la fotografa giapponese, Ishiuchi Miyako, che ne ha fatto un progetto chiamato semplicemente “Frida”, un racconto e insieme un ritratto, costruito attraverso le tracce di una storia intima, quotidiana. Miyako ha documento così i tradizionali abiti Tehuana usati dall’artista capaci di nascondere la disabilità di cui soffriva. E ancora occhiali da sole, collant, i busti decorati con cui sosteneva la schiena danneggiata, scarpe, guanti, cosmetici, fino alle protesi utilizzate dopo l’amputazione della gamba. Tutte le foto sono contenute nel libro Frida by Ishiuchi.
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