La redazione di Fortementein ha incontrato Gesuino Némus in occasione dell’uscita del suo secondo romanzo “I bambini sardi non piangono mai“.
Dopo l’avventura de “La teologia del cinghiale”, vincitore del Premio Selezione Bancarella nel 2015 e del Campiello Opera Prima, Gesuino torna sui passi e sui sentieri del paesino sardo di Telévras, nei Tacchi d’ogliastra dove ha ambientato il suo ultimo “I bambini sardi non piangono mai” edito da Elliot, Collana Scatti, pp. 193, € 17,50.
Protagonista di questo secondo capitolo è ancora Gesuino, che rientrato a casa dopo diversi anni trascorsi in un manicomio, si trova alle prese con due morti nel suo paese mentre scrive il suo nuovo libro ambientato nella Sardegna del 1968, quando la passione indipendentista bruciava fortissima, quando i ragazzi inneggiavano alla liberazione della Sardegna, mentre le università bruciavano e il mondo sembrava essere sconvolto dalla contestazione. Ma oltre agli ideali c’erano di mezzo anche molti soldi, servizi segreti, depistaggi e sicari senza scrupoli.
Anche qui, come nel Cinghiale, nessun investigatore è in grado di risolvere il caso, ma solo la semplice casualità riuscirà a far luce su morti, omicidi e sparizioni e Gesuino è sicuro che a nessuno possa mai interessare la verità, fino al giorno in cui le sue pagine non arrivano nelle mani di qualcun altro e il passato si intreccia con i misteri del presente.
La struttura e la trama procedono per guizzi, come abbiamo imparato ormai nella precedente opera di Gesuino.
Gesuino Némus è infatti un tipo speciale di scrittore che, al conformismo dei letterati italiani che mai ammetterebbero di essere influenzati dal dialetto sin dalla composizione dei primi pensieri, risponde dichiarando candidamente di “pensare e scrivere in sardo“.
Così Melchiorre Mossile, il capitano Marino Terrevazzi il brigadiere Maludrottu, Gesuino e gli altri personaggi si ritrovano a girare su una giostra di eventi, capitoli, variazioni di stile e piani temporali ben orchestrati che porteranno il lettore alla soluzione inconsueta del caso. Libro ancora più colto de La Teologia del Cinghiale, ripropone la tecnica del “libro scritto dentro al libro” di manzoniana memoria, anche se in questo caso si tratta del dottor Zivago. La maggior parte dei capitoli sono introdotti da citazioni da Brecht a De Gregori, al vangelo di Matteo, Kramer e Shakespeare ma da non perdere, sono la pagina 17 (Lettera di presentazione); la pagina 98 (le mie scuse al lettore) e, soprattutto, il capitolo 20, uno struggente omaggio a Gramsci, preceduto da un motto di Brassens.
Unica nota dolente, ma da addebitare all’editing, Gesuino in preda a un delirio di onnipotenza, entra continuamente nella storia e dialoga in diretta con il lettore e in maniera poco chiara e talvolta fastidiosa… ma tant’è, come dice Gesuino “il romanzo è come il porco. Non si butta via niente”.
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