7815 metri quadrati di ampliamento per un totale di 12,125 di superficie, di cui 3110 mq di aeree espositive oltre alla risistemazione degli spazi esterni; la ristrutturazione del vecchio edificio; un teatro auditorium all’aperto da 140 posti; una biblioteca specializzata con oltre 50,000 volumi; 3 dipartimenti scientifici e una collezione di 1145 opere appartenenti a 190 artisti italiani e 117 stranieri; due fondi e una mostra inaugurale. Questi i numeri del nuovo Centro Pecci di Prato che ha appena riaperto i battenti dopo 6 anni di chiusura e 3 di chiusura per i lavori di ampliamento diretti dall’architetto olandese Maurice Nio, che ha fatto letteralmente atterrare una avveniristica navicella spaziale su Prato, legata al volume originario del Centro ad opera di Italo Gamberini.
Oltre a un centro storico molto bello, a un Duomo che conserva affreschi di Filippo Lippi, a un Palazzo Pretorio spesso e volentieri sede di eventi culturali, Prato torna a vantare il primato di luogo di sperimentazione nazionale e internazionale nel campo dell’arte contemporanea. Unico museo pubblico in Italia ad aprire nel decennio 2010-2020, il nuovo Cenrto Pecci è parte di un network internazionale di riaperture che include istituzioni culturali di livello internazionale, come la nuova ala del Tate Modern di Londra di Herzog & de Meuron o la nuova sede del Whitney Museum disegnata da Renzo Piano. Una sfida davvero ambiziosa perché con la riapertura del Centro Pecci, nasce una casa dell’arte a 360° con eventi costanti e coinvolgenti come la mostra inaugurale “La fine del Mondo” (fino al 19 marzo 2017) a cura dal direttore Fabio Cavallucci. Le opere di oltre 50 artiste e artisti internazionali abitano una superficie di oltre 3000 mq, tentando una connessione tra tutti i linguaggio contemporanei. Se il titolo della mostra può trarre in inganno, il vero significato nasce dalla considerazione che ormai tutto ciò che abbiamo conosciuto finora è diventato obsoleto e che la realtà che noi abbiamo di fronte non è più in grado di comprendere il presente.
Largo dunque al tentativo di “fare esercizio sulla distanza” e guardare il nostro presente da lontano, raccontare il mondo di oggi, del suo stato di incertezza e della difficoltà di capire i grandi cambiamenti in corso. L’avvio del percorso espositivo all’interno della location “spaziale” di Maurice Nio è affidato a Break Through dell’artista svizzero Thomas Hirschhorn e al suo sfondamento del soffitto con una serie di detriti che si rincorrono verso il suolo, ma l’allestimento comprende nomi provenienti da discipline come la musica (la cantante Bjork o il musicista elettronico Joakim), l’architettura (Didier Fiuza Faustino), il teatro (Pippo Delbono). E ancora, il nativo americano Jimmie Durham, il cubano Carlos Garaicoa, i cinesi Qiu Zhije e Cai Guo-Qiang, il brasiliano Henrique Oliveira, senza dimenticare icone della storia dell’arte come Marcel Duchamp, Pablo Picasso e Umberto Boccioni e giovani talenti provenienti dall’Europa dell’Est, dal Nord Africa, dal Medio Oriente in una passeggiata che riesce a coniugare passato e futuro, conflitti e passioni.