Uno dei luoghi più magici è ricchi d’arte a Milano è sicuramente il Museo Poldi Pezzoli; dall’esterno si presenta nel più classico degli stili dei palazzi milanesi: anonimo. Questo, secondo me, è uno dei motivi che molto spesso lo fa passare inosservato, non lasciando trasparire minimamente le preziosità che custodisce al suo interno.
Un luogo schivo e riservato, come del resto era il suo padrone di casa, il signor Gian Giacomo Poldi Pezzoli. Nato a Milano il 27 luglio 1822 cresce in un ambiente ricco di stimoli culturali ed artistici. Suo padre, Giuseppe Poldi Pezzoli, ricco possidente, entra in possesso del considerevole patrimonio lasciatogli da un suo zio. Sua madre, Rosa Trivulzio – a cui Gian Giacomo fu molto legato per tutta la vita – è discendente di una delle famiglie più nobili e ricche di Milano. Questo consentirà a Gian Giacomo di entrare in contatto con il panorama letterario, artistico e culturale d’inizio Ottocento.
Ma addentriamoci nel museo, appena si attraversa il portone d’ingresso si viene catapultati come in un’altra dimensione, quella dei signorili cortili di una Milano segreta che spesso non si conosce assolutamente.
Una porta a vetri, che in alto riporta lo stemma della famiglia ci permette di entrare nella dimora, dove veniamo “accolti” dall’importante ritratto di Gian Giacomo Poldi Pezzoli. Uno dei capolavori del museo che lui stesso commissionò niente meno che al grande artista Francesco Hayez.
All’epoca di questo ritratto Gian Giacomo, ormai maggiorenne, entra in possesso dell’eredità paterna e decide di dedicare la sua vita all’arte, diventando un importante collezionista. Inizia la ristrutturazione della casa facendo sistemare il suo “appartamento da scapolo” con allestimenti d’avanguardia e dà il via ai suoi costosissimi acquisti.
La sua prima passione sono le armi e le armature antiche, nel giro di pochi anni entra in possesso di un centinaio di pezzi. L’armeria è la prima sala a essere terminata nei lavori di sistemazione.
A partire dal 1850, grazie all’amicizia con Giuseppe Molteni (ritrattista, critico d’arte, antiquario e restauratore di fama internazionale) comincia ad acquistare dipinti di immenso valore del Rinascimento lombardo, veneto e toscano e entra in contatto con i più importanti critici d’arte, studiosi e collezionisti Europei, tra cui Giuseppe Bertini, giovane e talentuoso pittore che, alla morte di Gian Giacomo, diventerà direttore della Casa-Museo.
Appena si inizia la visita, si viene catturati subito dall’antico scalone barocco con la fontana in marmo che lasciano davvero senza fiato.
Il soffitto, adesso è in muratura, una volta era un lucernario composta da vetri colorati, dipinto con figure di putti e fiori, immaginatevi che effetto pazzesco doveva fare la luce che si rifletteva sull’acqua. Purtroppo con i bombardamenti del ’43 il lucernario andò in mille pezzi, come quasi tutto il museo, quindi non possiamo godere dello splendore che dovevano essere gli affreschi, gli stucchi, gli intagli, i pavimenti di quella dimora che era di per sè un vero gioiello. Fortunatamente le opere erano state intelligentemente portate in salvo prima di questi avvenimenti catastrofici. Con la ricostruzione del dopoguerra si è cercato di mantenere la sua atmosfera ottocentesca, ricollocando arredi e dipinti dove si trovavano precedentemente. In alcune sale, ci sono le fotografie dell’epoca che mostrano gli ambienti come erano prima della distruzione – proverete una terribile stretta al cuore-.
La saletta degli stucchi è la prima che si incontra, ha mantenuto in buona parte i suo stile rococò. Vi si affaccia, come un tempo, la vetrina dove sono collezionate le porcellane e ceramiche europee e orientali.
Posta di seguito a questa sala si trova la Sala Nera, è una delle stanze storiche dell’appartamento.
Aveva la funzione di salotto e si ispirava allo stile ‘Rinascimento del Nord. Era chiamata anche Sala nera per il rivestimento in ebano delle pareti e del soffitto, purtroppo anch’essi distrutti. Si sono invece conservate le porte di legno e noce e alcuni raffinatissimi arredi, come il tavolo e il grande stipo in ebano con intarsi in pietre dure.
A un lato della stanza verrete ammaliati dalla bellissima statua in marmo “La fiducia in Dio” dello scultore Lorenzo Bartolini.
Questo capolavoro era stato fortemente voluto dalla mamma di Gian Giacomo, Rosina Trivulzio, perché esprimesse il suo abbandono alla fede dopo la morte del marito.
Bartolini dette forma a questi sentimenti attraverso una giovane figura nuda, innocente e pura, come il marmo con cui è realizzata, seduta con le mani giunte e un’espressione di intima e intensa devozione.
Usciti da questa sala si arriva alla “camera da letto” chiamata Sala dei vetri di Murano, questa stanza si danneggiò molto, sempre durante i bombardamenti.
Anche in questo caso le porte si salvarono, mentre il letto a baldacchino in stile neobarocco andò perduto agli inizi del Novecento.
Adesso la sala ospita una ricca collezione di antichi vetri di Murano, da cui poi prende il nome. Il più antico di questi vetri è il bicchiere con il motivo a rete della fine del Quattrocento.
Il più raro invece, la coppetta rotonda in vetro azzurro decorata a smalti con la figura di S.Francesco che tiene in mano il Crocifisso e un libro chiuso.
In questa sala sono esposti alcuni ritratti di Gian Giacomo da bambino fino adulto. Usanza del tempo era vestire i maschi con abiti femminili, infatti vedrete il piccolo Gian Giacomo vestito con gli abiti alla moda di allora.
Comunicante con la stanza da letto si trova “il Gabinetto dantesco”, unico ambiente ricostruito quasi interamente dopo la guerra. Questa è sicuramente una delle stanze più affascinanti della casa, dove si può godere ancora del prezioso esempio delle decorazioni dipinte della casa.
L’ambiente si ispira al medioevo e a Dante, raffigurato negli affreschi e nelle vetrate.
Questa era la stanza delle meraviglie di Gian Giacomo, l’aveva riempita di oggetti preziosi, accumulati nelle quattro vetrine. Si dice che il nobiluomo morì proprio in questa stanza e la leggenda narra che lo trovarono morto soffocato dalla sua cassaforte mentre era intento a contemplare i suoi tesori.
Ancora oggi nella studio troviamo il busto in marmo di Rosa Truvulzio, sempre dell’artista Lorenzo Bartolini.
Dopo la morte della stessa, Gian Giacomo teneva il busto sulla scrivania con al collo la collana preferita della madre, la collana con cammei, che adesso si trova esposta in una delle vetrine delle oreficerie, dove si possono ammirare anche una serie di preziosissimi smalti di Limoges e lombradi.
In fine, come ultima stanza, si arriva al Salone dorato, così chiamato per via del soffitto a cassettoni dorato andato distrutto, era decorato da affreschi di Giuseppe Bertini, mentre le pareti erano tappezzate di stoffa damascata.
Questo luogo racchiude tra i più grandi capolavori dell’arte custoditi dal Museo, primo fa tutti il celebre “Ritratto di donna” di Piero del Pollaiolo, che è poi diventato il simbolo del museo.
L’opera, databile al 1470 circa, appartiene a un’importante serie di ritratti femminili, attualmente divisi tra diversi musei europei e americani, eseguiti nella seconda metà del Quattrocento dalla bottega fiorentina dei fratelli Antonio e Piero del Pollaiolo. La straordinaria attenzione ai valori della luce, che si riflette con effetti di trasparenza sui capelli dorati della dama, sulle perle e le pietre preziose e sull’incarnato del volto, testimonia l’influenza delle novità introdotte in pittura dai pittori fiamminghi contemporanei.
La figura femminile è presentata sullo sfondo di un chiaro cielo azzurro solcato da alcune nubi. Il volto, mostrato perfettamente di profilo, secondo la tradizione della ritrattistica antica, è segnato da una sottile linea nera di contorno, che lo fa risaltare nettamente. La donna veste un corpetto scollato e allacciato con una serie ravvicinata di bottoni. La massa dei capelli, sostenuta da un velo, è circondata da un filo di piccole perle. Sulla fronte scende il «frenello» composto da fili di perle legate in oro. La fronte è altissima secondo la moda del tempo che prevedeva la rasatura dell’attaccatura dei capelli e di quelli della nuca. Il collo è ornato da una breve collana con tre perle bianche alternate a una nera cui si aggancia un pendente con un grosso rubino e perle. La straordinaria ricchezza della veste, dell’acconciatura dei capelli e dei gioielli indossati dalla donna lasciano immaginare che si tratti di un personaggio di rilievo dell’aristocrazia fiorentina del Quattrocento.
Gian Giacomo amava i dipinti, in particolare le opere dei pittori lombardi seguaci di Leonardo, dei grandi artisti del rinascimento toscano, come Botticelli, Piero della Francesca e dei veneti del Settecento, tra cui Guardi, Cataletto e Tiepolo, non c’è che dire, in questo museo si possono davvero trovare i massimi esponenti dell’arte. Uno dei primi dipinti che conquistarono il cuore del nostro collezionista fu la “Madonna col Bambino” di Andrea Mantegna;
il dipinto, databile agli ultimi anni del XV secolo, è stato realizzato, senza preparazione, su una tela a trama finissima, ben visibile soprattutto nelle zone più chiare, al di sotto del leggero strato di colore. La gamma cromatica piuttosto ridotta, ma ricca di colori intensi, quali il rosso dell’abito della Vergine e il verde del risvolto del manto, appare oggi attenuata dalla patina giallastra stesa da Giuseppe Molteni nel corso del restauro effettuato nel 1863. Alcune preziose lumeggiature d’oro sono ancora rilevabili sulla veste e tra i capelli biondi di Maria. Il dipinto fu venduto a Gian Giacomo Poldi Pezzoli, poco dopo la metà dell’Ottocento dal famoso storico dell’arte Giovanni Morelli.
In questo salone troverete anche il celeberrimo “Imago Pietatis” del Bellini (qui sopra) databile intorno agli anni sessanta del XV secolo, appartiene al periodo giovanile dell’artista, durante il quale la pittura di Giovanni Bellini risulta ancora fortemente influenzata dall’esempio del cognato Andrea Mantegna.
Una cosa è cera, entrando in questo museo non smetterete un attimo di guardarvi intorno rimanendo a bocca aperta.
Prima di lasciare questa casa delle meraviglie, voglio consigliarvi di prestare attenzione al dittico con i “ritratti dei coniugi Lutero” di Lucas Cranach il Vecchio, Martin Lutero e la moglie Katharina von Bora,
uno strato di materia pittorica steso sul retro indica che potevano essere chiusi e trasportati, sembra quasi si trattasse di altari portatili, probabilmente queste tavole venivano usate come “locandine” per diffondere le effigi del protagonista della Riforma, padre del protestantesimo. Raffigurato a mezzo busto su uno sfondo azzurro, ha sul capo una berretta nera, dalla quale sfuggono ciocche di capelli mossi; la massa scura degli abiti porta a concentrare l’attenzione sul volto, con le labbra sottili, il naso prominente, le rughe che segnano gli occhi. Lo sguardo è vivo e quasi ironico, al contrario di quello della moglie, che ha un’aria distante e austera. Katharina indossa una camicia bianca profilata di nero, un bustino stringato e una sopraveste con il collo di pelo. L’artista si è soffermato su ogni dettaglio, dalla retina che trattiene i capelli alla pelliccia, così realistica da sembrare vera. La precisione del disegno è caratteristica dell’arte rinascimentale tedesca. A sinistra del riformatore è visibile la data 1529, insieme al dragone alato, che l’artista, seguito dai figli Hans e Lucas il Giovane, anch’essi pittori, utilizzò come stemma. I ritratti sono accompagnati da due citazioni bibliche: in quello di Lutero, “Nel silenzio e nella fiducia sarà la vostra forza”, dal Libro di Isaia (30, 15); in quello della moglie, “[la donna] si salverà attraverso la discendenza”, dalla prima lettera di San Paolo a Timoteo (2, 15). Cranach aderì alla riforma protestante e la sua immagine di Lutero conobbe una vasta diffusione attraverso numerose copie – fra cui questa – prodotte in serie dalla sua attivissima bottega.
Se volete sapere qualche altra piccola curiosità, per esempio quali sono le opere appartenute a Poldi Pezzoli e quali invece sono entrate nel museo dopo la sua morte, osservate i cartellini che le affiancano, se non appare la scritta acquistato o dono, allora il quadro era sicuramente in casa Poldi Pezzoli già nel secolo scorso.
Mentre vi avviate all’uscita, vi consiglio di dare uno sguardo al giardino interno del Palazzo, un giardino “segreto”, come voleva la tradizione delle abitazioni signorili del centro di Milano.
Raggiungere il Museo è davvero facilissimo, si trova in via Manzoni al numero 12, una possibilità per arrivarci è con la MM1 (linea rossa) si scende a Duomo, si attraversa la Galleria Vittorio Emanuele e la Piazza della Scala e infine si gira a destra proprio in via Manzoni, tempo di percorrenza 7 minuti.
La seconda opzione è quella di prendere la MM3 (linea gialla) fermata Montenapoleone, e andare per via Manzoni in direzione di Piazza della Scala, in 2 minuti sarete arrivati a destinazione.
Info: il Museo è aperto dalle 10.00 alle 18.00 (ultimo ingresso ore 17.30)
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